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    Analfabetismo funzionale: una piaga italiana

    Usualmente l’analfabetismo identifica una persona che non è in grado di leggere e di scrivere; tuttavia oggi esiste un’altra tipologia di analfabetismo più insidiosa: quella funzionale.                                                                                                          
    Questo termine è stato introdotto nel 1978 dall’UNESCO e si riferisce all’incapacità di un individuo di sfruttare le proprie conoscenze di lettura, scrittura e calcolo nei contesti quotidiani.
     
    Tale concetto non si limita alle nozioni linguistiche o grammaticali ma all’applicazione della logica sottesa ad esse, necessaria per raggiungere i propri obiettivi e per favorire lo sviluppo personale e sociale. La persona dispone solo di una capacità di analisi elementare, riducendo la complessità degli eventi a cui è esposta fino ad ottenere una comprensione meramente basilare.    
                                         
    In termini concreti ciò significa che un analfabeta funzionale non è in grado di interpretare correttamente un grafico, di carpire il senso di un articolo o gli accordi di un contratto.
     
    Tali limiti si traducono in errori frequenti e bassa produttività sul posto di lavoro, comportando ingenti perdite economiche. Inoltre, se si considera l’importanza delle abilità valutative in momenti fondamentali quali ad esempio il voto, si realizza la gravità di questa carenza.
     
    L’analfabetismo, inteso in senso lato, non rappresenta dunque solo la menomazione di un diritto fondamentale umano ma anche un problema rilevante per la comunità intera. 
     
    Nel nostro paese la situazione sembra piuttosto critica: la pubblicazione del Rapporto Nazionale sulle competenze degli Adulti 2014 , elaborato dall’ente di ricerca ministeriale ISFOL, ha rivelato che in Italia il 70% della popolazione è funzionalmente analfabeta, ottenendo il primato tra i paesi considerati. 
     
    Le persone valutate sono cittadini dai 16 ai 65 anni, ovvero un campione eterogeneo e rappresentativo della realtà, e sono stati coinvolti 24 paesi appartenenti all’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
     
    L’indagine è stata realizzata mediante la somministrazione telematica di questionari e test cognitivi, esaminando tre categorie: literacy (alfabetizzazione), numeracy (capacità di calcolo) e problem solving, prevedendo per ognuno di essi sei livelli di competenza.
     
    Il terzo livello è stato considerato quello minimo per potersi destreggiare adeguatamente nell’ambito sociale, ma solo il 30% degli italiani ha raggiunto o superato tale traguardo.
     
    Non solo essi risultano ultimi (literacy) e penultimi (numeracy) nella classifica stilata, ma si collocano al di sotto della media OCSE di circa 10 punti. La Spagna (67,1%) e la Francia (58%) mostrano valori simili ai nostri, mentre Giappone (28%), Finlandia (37,1%) e Paesi Bassi (39,1%) sono le nazioni più avanzate.
     
    Tali problematiche erano emerse già in passato tramite le ricerche dello Human Development Report che riportava una percentuale del 47% di italiani con analfabetismo disfunzionale, a fronte di punteggi significativamente inferiori di altri paesi come l’Irlanda (22,6%), il Regno Unito (21,8%) e gli Stati Uniti (20%), fino ad arrivare alla Norvegia (7,9%). 
     
    Quest’emergenza richiede un cambiamento nel concetto stesso di competenza, a partire da un’evoluzione delle scuole che dovrebbero fornire le risorse atte a comprendere il mondo circostante.
     
    Attualmente anche nelle prestazioni Invalsi (ovvero le prove di logica matematica e letteraria che si svolgono durante gli esami finali di terza media) ci poniamo agli ultimi posti europei ed esse non sembrano essere uno strumento sufficiente per sviluppare maggiori abilità.
     
    Sono indispensabili programmi specifici di riscolarizzazione, predisponendo appositi spazi per valorizzare il ragionamento e sostenendo anche gli studenti con maggiori difficoltà. 
     
    I ricercatori dell’ISFOL ed il Parlamento Europeo hanno suggerito il lifelong learning, un aggiornamento continuo nell’arco di vita, con la somministrazione di test di alfabetizzazione obbligatori per accedere ad incarichi manageriali e test periodici utili a chiunque per mantenere un buon livello di alfabetizzazione funzionale. 
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