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    Ancora poche le donne che lavorano

    Donne e lavoro… Un connubio poco felice, almeno se si considera la situazione nel nostro Paese. Con il 42,7% delle donne occupate, infatti, l’Italia detiene il record negativo all’interno dell’Unione Europea, superata solo dalla mediterranea isola di Malta. I dati sull’occupazione femminile sono stati elaborati dal Ciss, il Centro Internazionale di studi sociali, e presentati nel corso del convegno, tenutosi ieri a Roma presso il Cnel, dal titolo “Donne, lavoro e welfare nell’Europa allargata”, una riflessione sul ruolo e la valorizzazione della componente femminile, intesa come risorsa imprescindibile per la crescita economica e democratica dell’Unione europea.

    Nel corso del convegno, la vicepresidente del Cnel, Francesca Santoro, ha evidenziato “la necessità di una lettura positiva delle sinergie tra welfare state e crescita economica, del rapporto virtuoso esistente tra questi due elementi, nel solco di un orientamento macro-economico che individua nelle donne una risorsa di importanza fondamentale. Questo orientamento, sostiene la Santoro, sarebbe decisivo per la costruzione di un ambiente favorevole al lavoro femminile, presupponendo un confronto tra questo obiettivo e le politiche di sviluppo dell'Unione, dei singoli Stati e dei territori”.

    Un giudizio totalmente negativo è stato espresso nei confronti della “teoria dei due tempi”, in base alla quale la crescita economica deve essere anteposta alle politiche di coesione sociale. È invece emersa la necessità di adottare una strategia unitaria, insieme a comportamenti che favoriscano la coesione e la maggiore integrazione della donna nel mondo del lavoro all’interno dell’Unione.

    Tra i Paesi della UE a 15, gli unici a mostrare un livello di occupazione femminile al di sotto del 50%, oltre al nostro, sono la Grecia (43,8%) e la Spagna (46%), a fronte di una media del 56,1%, mentre i dati migliori si registrano in Svezia (71,5%), Danimarca (70,5%), Olanda, Finlandia e Regno Unito.
    Nell’Unione a 25, invece, il livello più alto è raggiunto a Cipro (60,4%), seguito da Estonia (59%), Lituania (58,4%), Lettonia (57,9%), Slovenia (57,6%), Repubblica Ceca (56,3%), Slovacchia (52,2%) e Ungheria (50,9%), mentre ultima, ma comunque superiore al dato italiano, si colloca la Polonia (46%).

    Pur rimanendo ancora nettamente sfavorevole, il confronto con gli altri paesi dell’Unione, tuttavia, evidenzia che l’Italia è il paese con la maggior crescita dell’occupazione femminile, pari a cinque punti percentuali in cinque anni.
    A commento dei dati, il sottosegretario al Welfare, Maurizio Sacconi, ha affermato che “il basso tasso di occupazione femminile è un cronico limite del mercato del lavoro italiano. Negli ultimi anni, afferma Sacconi, è comunque cresciuto il tasso di occupazione femminile nel nostro Paese, anzi, va sottolineato che il tasso di crescita è superiore a quello degli altri paesi europei, con particolare vantaggio per le donne meno giovani, categoria notoriamente più esposta al rischio di maggiore esclusione”.

    Secondo Maurizio Sacconi, un forte contributo alla crescita dell’occupazione femminile è venuto dalla riforma del mercato del lavoro, riforma che ha inciso su alcune tipologie contrattuali come il part-time, che ora risulta disciplinato “in coerenza con le direttive europee”. “Sono proprio le donne, aggiunge Sacconi, più ancora di altre fasce del mercato del lavoro, ad aver pagato le conseguenze dell’ideologismo che non considera mai le persone in carne ed ossa con le loro diverse aspirazioni e necessità”.

    Articolo tratto da http://www.miaeconomia.com

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