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    Anoressia: espressione di una rabbia inesauribile

    Si parla spesso di disturbi del comportamento alimentare (DCA) in termini di malattia sociale, nel senso che rispecchiano i valori della nostra società: la bellezza intesa come forma fisica e snellezza.

    In tal senso si sente parlare di ragazze che diventano anoressiche per inseguire modelli di bellezza ammirati sui mass-media.

    Senza dubbio la prospettiva sociale è importante ma rappresenta solo la cornice entro cui situare spiegazioni più profonde, che devono essere di natura individuale.

    E’ davvero difficile credere che una malattia così drammatica e con risvolti così ostinatamente autodistruttivi, possa essere spiegata solo attraverso meccanismi di imitazione ed influenze culturali.
    Chi intende ridurre l’anoressia alla malattie delle modelle, si rifiuta di accettare il grave disagio che sta investendo le nuove generazioni, che ha trovato il mezzo più efficace per esprimersi nel mondo dello spettacolo, con la speranza di ottenere quella attenzione e quell’ affetto tanto reclamato.


    Il sintomo anoressico/bulimico rischia di diventare un’etichetta, sia per la persona malata sia per i suoi familiari, che rappresenta l’unica identità in cui riconoscersi e con la quale coincide l’intera esistenza.

    In realtà esistono tante forme di anoressia quante sono le pazienti: la malattia accomuna, rende uguali gli individui per i modi con cui si manifesta, ma lascia indistinti i percorsi individuali che hanno portato alla patologia attraverso una storia unica e irripetibile. Solo gli eventi personali possono ridare senso alla malattia.


    Dal punto di vista del sintomo, quindi, si possono individuare dei criteri comuni essenziali per poter asserire che si tratta di anoressia nervosa:
    1. Rifiuto di mantenere un peso normale, generalmente al di sotto dell’ 85% rispetto a quello previsto in rapporto all’ altezza e all’età. Il sottopeso è mantenuto e controllato in maniera volontaria e con notevoli sforzi da parte del soggetto.
    2. Intensa paura di aumentare di peso e di perdere il controllo,anche se si è al di sotto dei valori normali, a tal punto che anche un aumento di pochi etti può provocare profondo disagio e angoscia.
    3. Non viene ammessa alcuna preoccupazione per il sottopeso. Occorre molto tempo prima che il soggetto si renda conto di essere malato. La forma del corpo, la distribuzione del grasso diventano la principale forma di inquietudine, sino al punto che tutta l’ esistenza e il comportamento del soggetto ne vengono pesantemente influenzati. Percui umore, autostima dipendono direttamente dal peso.
    4. Amenorrea: inabilità fisiologica a procreare, dovuta al sottopeso e alla nulla percentuale di grasso idoneo per affrontare una gravidanza.
    Inoltre si distinguono due sottotipi essenziali di anoressia:
    ANORESSIA RESTRITTIVA 
    Forma più classica in cui il soggetto ha come obiettivo principale quello di mangiare il meno possibile, mettendo in atto comportamenti di tipo restrittivo:
    • Eliminazione progressiva degli alimenti
    • Salto di pasti
    • Eccessiva attività fisica col preciso scopo di bruciare calorie: iperattività
    Così da mantenere il sottopeso, divenuto, ormai, unico grande valore dell’esistenza.
    ANORESSIA CON ABBUFFATE E CONDOTTE ELIMINATORIE
    Il soggetto si abbuffa di cibo, ma poi lo elimina volontariamente con vomito autoindotto e uso smodato di lassativi e diuretici nel tentativo di controllare il proprio peso.

    Ogni azione, ogni pensiero del soggetto anoressico sono dovuti al contrasto tra l’impulso fisiologico ad aumentare di peso e il desiderio di essere magre: potente discrepanza e difficile rapporto tra l’aspetto fisico e l’immagine che si ha di sé, che non si riesce e non si vuole accettare.

    Molto spesso il soggetto sostiene di aver sempre percepito dentro di sé la convinzione di essere inadeguati, impotenti, incapaci di sostenere il giudizio degli altri che non è altro che la proiezione del giudizio che il malto stesso ha di sé.

    A prevalere dunque è la scarsa autostima e un forte senso di disperazione; pervaso da angoscia e insicurezza, soffre di un sempre più aggravata forma di dismorfofobia, guardandosi allo specchio continua a vedersi troppo grasso o comunque diverso da quello che vorrebbe essere e non percepisce le reali dimensioni e proporzioni del suo corpo; nega di avere un’alimentazione insufficiente, una magrezza patologica e rischiosa per la salute.


    Lo scontro tra un’esigenza naturale e il desiderio di controllarla non è semplice e lo sforzo necessario per vincere questa battaglia quotidiana è così imponente che non lascia assolutamente tempo per dedicarsi ad altre cose.

    Tutto quello che circonda il soggetto anoressico in questo momento passa in secondo piano, assume un valore secondario e irrilevante. Il pensiero dominante, che diventa ossessivo, è quella di evitare il più possibile il cibo, da cui dipende ed è incentrata la sua vita. Impara ad alimentarsi con quantità sempre uguali, rigorosamente controllate e da sé cucinate; rifiuta ogni tipo di cure, soffre di sonnolenza o afferma di non essere mai stanca; ha particolare sensibilità al freddo, soffre di ipotensione, ha cute secca e un colorito giallastro.


    Il paziente anoressico trasforma la sua ansia e i suoi problemi psicologici attraverso la manipolazione della quantità e della dimensione del cibo, in essa prevale il ritiro dalle relazioni sociali: i significati e i valori che attribuiamo al corpo sono legati alla costruzione dell’ identità, sono fluttuanti e transitori, ma soprattutto dipendono dal nostro sguardo e da quello degli altri.

    Di fronte a una profonda situazione di disagio e di fragilità, la modalità anoressica rappresenta una scelta inconsapevole ed inevitabile ed è, tuttavia, un elemento di equilibrio, perché permette al soggetto di proiettare il suo problema su qualcosa di concreto dandogli il potere di controllarlo.

    La manifestazione esteriore dell’anoressia è un chiaro segnale della presenza di qualcosa che non va, e deve spingere a chiedersi cosa il soggetto malato sta cercando di comunicare.
    L’appoggio di una percorso di terapia psicologica è fondamentale perché il più delle volte le radici della malattia sono troppo profonde e oscure anche al soggetto stesso.

    L’esordio della malattia è rappresentato da una semplice restrizione dietetica, per imitare una amica, una modella, un’attrice o perché si ha voglia di perdere quei chili che sembrano di troppo.
    Raggiunto l’obiettivo, la preoccupazione di poter nuovamente ingrassare diventa sempre più forte tanto da perdere il controllo della dieta intrapresa.

    La mente viene invasa da pensieri ossessivi riguardanti il cibo. Anche in questo caso è coinvolto l’istinto naturale che governa la persona sino a quando non trova cibo per nutrirsi e quindi sopravvivere. Tale desiderio è così intenso che la persona diventa sensibile ad ogni odore, profumo e stimolo riguardante il cibo e tutto il resto viene messo in secondo piano.

    Qualsiasi cibo, però, viene visto come possibile causa di cuscinetti, fianchi larghi e ciò fa aumentare la voglia di insistere su questo percorso con costanza e sempre più sacrifici, con maggiore selezione di cibi e più intensa attività fisica. Tuttavia, più forte diventa l’ossessione, maggiore è il rischio di abbandonarsi ad episodi di abbuffate a cui seguono comportamenti eliminatori, ma anche stati di profonda disperazione.

    Man mano che il dimagrimento si fa più severo la mente viene invasa sempre più dalla paura di perdere il controllo e di ingrassare: questo pensiero diventa l’unica legge che regola la vita dei pazienti anoressici, al punto che diventa impraticabile ogni tentativo di convincerle a un trattamento se non quando toccano il fondo. 


    In questa fase l’umore diviene depresso, irritabile, ansioso; le emozioni negative si accentuano e vengono compromesse le funzioni delle attività mentali superiori come la concentrazione, la memoria, la capacità di giudizio critico.
     
    Si può azzardare che l’anoressia diventa una modalità di vita, in quanto in quella estenuante lotta contro il cibo, il soggetto mette in gioco, sviluppa e matura molte caratteristiche del comportamento:
    • COSTANZA
    • FORZA di VOLONTA’
    • DECISIONE/CONVINZIONE 
    • DETERMINAZIONE
    • AMBIZIONE 
    • PERFEZIONISMO
    • RIGORE E SEVERITA’
    • IPERATTIVITA’ anche mentale
    • COMPETITIVITA’
    In tutto è necessaria la giusta misura, ma nell’anoressica, l’ostentazione della magrezza, va di pari passo con quella di queste qualità che la possono condurre, senza sentire ragioni, fino ad una chiusura claustrofobica su sé stessa, sul proprio corpo, sul proprio studio, sui propri progetti di essere sempre e ovunque “la più..”, alla necessità vitale di realizzare i propri programmi e di portare a termine quel che si è iniziato, secondo quella rigida regola del “TUTTO O NULLA” fino all’isolamento o, nel peggiore dei casi, alla morte.

    E tutto questo può essere detto, ancora, il male della moda? No, no è possibile. Se si ha un minimo di sensibilità si capirà come l’anoressia, al pari della bulimia, sia manifestazione di un profondo e radicato malessere esistenziale, una patologia dell’anima con cui si rivendica l’amore dell’altro.

    Il corpo assume su di sé il peso di un’insoddisfatta domanda d’amore, ma dominati dall’idea persecutoria del cibo e del peso, si perde e si bandisce qualsiasi forma di legame sociale.

    Tale condizione fa sì che ci si sottragga al dialogo con l’altro, scegliendo come interlocutore privilegiato il cibo, sempre disponibile per essere rifiutato, divorato ed espulso. Risulta, pertanto, necessario riaccostare i soggetti portatori di questo disagio ad una dimensione verbale. Al fine di reintrodurli nell’universo dei rapporti sociali e non solo.

    Imparare l’ASSERTIVITA’, cioè la comunicazione dei propri bisogni, evita il soffocamento di questi in sé stessi e il conseguente sfogo attraverso altri mezzi, che nel caso dell’ anoressia è il cibo che diventa strumento di comunicazione e si carica di una delicata valenza simbolica:


    A. Anoressia come fame dell’anima
    Le patologie del comportamento alimentare si instaurano nell’adolescenza, momento in cui il corpo si trasforma, con la comparsa dei segni della funzione riproduttiva e di quelle forme proprie della femminilità.
    La ragazza ha difficoltà a riconoscersi nel proprio corpo, ma soprattutto ad accettarlo: esso modifica la relazione con sé stessa e con gli altri e a tale cambiamento si attribuisce un significato più profondo, quale il passaggio alla vita adulta.

    Il rifiuto di crescere è spesso uno dei fattori determinanti all’insorgere della patologia anoressica: riducendo le quantità di cibo non si cresce, unendo questo ad un estenuante attività fisica si rende il proprio corpo emaciato, minuto,privo di forme e con funzionamento fisiologico compromesso: è la condizione propria di una bambina.

    In tali condizioni come può una madre non prendersi cura della propria figlia anche se ha già 16 anni? 
    Quando ciò avviene il vuoto affettivo che accompagna la ragazza è davvero profondo: ha nostalgia della madre quando questa si assenta;vuole uscire con lei; è gelosa dei fratelli e vive il rapporto in modo possessivo.

    Non ricorda le cure che la madre le ha dedicato quando era piccola, ha nostalgia dell’infanzia. Le manca quella sicurezza di base che si costruisce nei primi anni di vita e che permette di interiorizzare le figure di attaccamento,di costruire con esse una sana relazione che farà da stampo ai rapporti futuri.

    Quel bisogno di affetto è insaziabile e la ragazza con l’anoressia esprime quella bambina insoddisfatta che vive dentro di lei e rivendica ciò che le è mancato e che le è necessario per la sua vita adulta.

    Il legame di simbiosi che si instaura con la madre rimanda a quello dei primi anni della vita di un bambino, ma ostacola la maturazione psicologica della ragazza che si trova incapace di prendere decisioni da sola, insicura, sempre bisognosa dell’appoggio e dell’approvazione materna. E’ un grave problema di AUTONOMIA.

    Quel rapporto di simbiosi può utilizzare come solo strumento di relazione il cibo, veicolo di messaggi, su cui si intessono i primi rapporti affettivi, che fa dell’atto nutritivo la prima forma di comunicazione.
    Crescere significa anche prendere delle decisioni, fare delle scelte ed assumersene la responsabilità: la ragazza anoressica dimostra serie difficoltà anche in questo a causa della sua insicurezza, dalla sua incapacità di distinguere quello che lei vuole da ciò che gli altri si aspettano, dalla sua paura di deludere ed essere nuovamente abbandonata. Torna ancora la mancanza di quella sicurezza di base che ti rende consapevole dell’ affetto dei familiari qualsiasi cosa succeda.

    B. Anoressia come espressione di un rabbia inesauribile
    L’incapacità di essere assertivi ha come conseguenza più importante la mancata espressione di quella rabbia che scaturisce dalle più svariate situazioni, perché, non bisogna dimenticare che le ragazze anoressiche sono estremamente fragili e vulnerabili, nonostante la forza con cui portano avanti la loro battaglia con il cibo.

    La rabbia può generare aggressività, a volte senza un preciso motivo, crisi isteriche, ma soprattutto essa fonda il senso di colpa che frena la ragazza che soffre di anoressia di fronte al cibo e che le fa vivere quel profondo disagio quando si è usciti dai propri canoni alimentari. 

    Rabbia causata da questo corpo che cambia, da quel vuoto che si percepisce e che non dà pace, dalle continue privazioni alimentari, dal confronto con gli altri, dall’impressione di essere troppo grasse, dai torti subiti dai familiari, dai rimproveri, vissuti come umiliazioni, dalla presenza della malattia che suscita i continui commenti da parte degli altri, dagli insuccessi, evitare i conflitti per quieto vivere, come spesso può accadere i famiglia non dà modo di esprimere quel che si prova nel modo corretto e allora si riduce la quantità, si vomita come per farla pagare a chi ha fatto del male.

    La condizione di simbiosi porta poi la ragazza a invischiarsi nella vita della coppia che non sempre vive un buon rapporto, sicchè la malata si fa carico anche di questa situazione e, in particolare, degli stati d’animo della madre. 


    Prendere peso allora significa crescere e perder quelle attenzioni di cui la malata di anoressia gode; ma significa anche fare un torto alla madre, in quanto viene meno quello strumento di rivendicazione e di espressione del rancore materno di cui la ragazza si è voluta caricare per suggellare il rapporto di simbiosi e prendere le difese nei confronti degli atteggiamenti del padre.

    La bambina che rivendica la sua infanzia, inconsciamente vede la malattia come la bacchetta magica in grado di sanare un rapporto di coppia malato, ma molte volte crea ulteriori screzi e solo nel momento in cui si decide di affrontare il problema in modo serio, iniziano ad esserci barlumi di miglioramento. In tali casi è importante che la ragazza capisca che non è compito suo fare da arbitro ai rapporti tra madre e padre.   
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