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    Aspetti psicologici in oncologia pediatrica

    Il tumore in età pediatrica e adolescenziale rappresenta una patologia rara. Ogni anno in Europa si ammalano 140 bambini ogni milione di soggetti di età 0-14 anni.

    Attualmente in Italia si ammalano di tumore maligno 164 casi per milione di bambini e 269 casi per milione di adolescenti, senza differenze sostanziali per area geografica.

    Nonostante nell’ultimo decennio l’andamento dell’incidenza di tutti i tumori maligni nei bambini (età 0-14 anni) sia stazionario, queste cifre sono ancora relativamente elevate se paragonate a quelle registrate negli Stati Uniti e nei paesi dell’Europa settentrionale (Pritchard-Jones et al., 2006; Kaatsch, 2010).

    E’ noto che i tumori rimangono la seconda causa di morte, dopo gli incidenti, nei bambini tra 0 e 14 anni, con un tasso di mortalità pari a 2.8-3.5 morti ogni 100000 bambini (Bosetti et al., 2010).
    Attualmente, la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di tumore è dell’82% nei bambini e dell’86% negli adolescenti, valori sovrapponibili a quanto riportato in altri paesi occidentali.

    I tumori infantili possono essere distinti in due grandi categorie: leucemie e tumori solidi.

    Questi ultimi interessano vari organi e apparati e si presentano in ordine decrescente di frequenza: nel SNC, nel sistema linfatico, nell’apparato urogenitale, nel sistema nervoso vegetativo e nelle ghiandole surrenali, nell’apparato osteoarticolare, nell’occhio e più raramente negli altri apparati.

    In generale la sintomatologia, che varia in relazione alla malignità e all’invasività del tumore, comprende:

    • sintomi locali, in rapporto alla sede colpita (dolore, paralisi, compressione di organi vicini, ecc.)
    • sintomi generali (stanchezza, malessere, deperimento, anoressia, febbre, mutamenti dell’umore, ecc.)

    Le cure utilizzate per i tumori sono di tre tipi:

    1. chirurgiche, cioè asportazione del tumore
    2. antiblastiche, cioè dirette alla distruzione delle cellule tumorali
    3. sintomatiche e palliative, cioè ricostituenti, antidolorifici, antiemorragici, ecc.


    Le varie terapie di cui sopra presentano effetti collaterali sia a breve che a lungo termine a carico  degli organi interessati anche per quanto riguarda la loro maturazione e funzionalità e compromettono pesantemente la qualità di vita dei bambini/adolescenti.

    Il bambino malato è costretto ad adattarsi ad una vita completamente diversa da quella che ha condotto fino al momento della diagnosi e da quella dei suoi coetanei.
    A causa delle frequenti ospedalizzazioni e degli effetti collaterali dei trattamenti, si riducono le opportunità di giocare, i risultati scolastici possono essere compromessi, le relazioni con i pari e la conquista dell’autonomia sono a rischio.

    La diagnosi comporta sempre uno shock accompagnato da una sensazione/vissuto di essere attaccato nel corpo e nella mente senza poter far nulla in merito e senza sapere quali saranno gli esiti dei trattamenti. Spesso anche la fiducia nell’onnipotenza dei genitori, che non riescono a proteggerlo da questo male, viene a mancare.
    Il bambino si sente solo e indifeso di fronte ad una vera e propria minaccia di morte, pertanto è importante focalizzare l’attenzione sulla loro capacità di coping e di resilience.

    La comunicazione della diagnosi genera regressione sia da parte del bambino che dei genitori, in particolare della madre. A causa dei ricoveri, dei trattamenti, del dolore il bambino si sente insicuro e frastornato e cerca quindi una protezione maggiore da parte del caregiver; le angosce e i sensi di colpa generati dalla malattia, favoriscono l’instaurarsi di una relazione di dipendenza in particolare con la madre mettendo in atto una serie di comportamenti quali rifiuto del cibo, bisogno di essere lavato, vestito, imboccato, ecc.

    Durante il trattamento si possono presentare sintomi riconducibili al disturbo distimico o depressivo maggiore per esempio ricorrenti pensieri di morte, scarsa concentrazione, isolamento sociale mentre ad un anno dalla diagnosi si osservano più frequentemente deficit dell’attenzione e iperattività. In generale dopo un anno di trattamento tale sintomatologia tende a diminuire; una possibile spiegazione è che il bambino “si abitua” alle procedure mediche permettendogli di aumentare il senso di controllo sulla situazione.

    Nella fase di remissione dei sintomi vi è un calo dell’ansia anche se spesso si sviluppano meccanismi di difesa verso il futuro, vissuto come incerto. Inoltre, a causa della regressione della fase precedente e dell’iperprotettività da parte dei genitori, può risultare difficoltoso reinvestire nel mondo sociale e scolastico.

    Nel caso di recidiva, la speranza di guarigione medica spesso crolla e il bambino si sente ingannato dai genitori e dai medici: sviluppa aggressività, ostilità, depressione per la ripresa delle terapie.
    Infine nella fase terminale di malattia anche il bambino molto piccolo intuisce che sta per morire. Si chiude in se stesso come per prevenire l’abbandono. E’ molto comune una generale irritabilità e potrebbe voler parlare poco ed evitare il contatto fisico. In questa fase è ancora più importante la vicinanza della madre, per rassicurare il bambino che non sarà lasciato solo.

    La  malattia e i trattamenti producono dei cambiamenti sul piano fisico che hanno un ruolo fondamentale nell’esperienza del bambino che deve accettare la nuova immagine corporea superando il lutto per la perdita dell’integrità.
    Nella definizione della propria identità personale, i bambini malati di tumore devono riuscire ad integrare un’immagine del corpo alterata dalla malattia; ma i segni lasciati dalla malattia non devono diventare i simboli principali di questa identità.

    In questo contesto assume un’enorme importanza il contatto fisico attraverso cui si trasmettono messaggi di rassicurazione rispetto al senso di intoccabilità e vergogna per il proprio corpo danneggiato dalla malattia permettendo al bambino di sentirsi meno solo.

    In età adolescenziale l’investimento sul corpo e la spinta verso l’autonomia sono ancora maggiori rispetto ai bambini più piccoli: si può assistere ad una sintomatologia aggressivo-ansiosa legata da un lato al rapporto di dipendenza dalla madre e di “delega”del proprio corpo ai genitori; dall’altro dalla diversità rispetto ai coetanei poiché la malattia può provocare un ritardo della crescita e dello sviluppo puberale.

    Inoltre la tipica crisi d’identità adolescenziale si intreccia con il problema di integrare una condizione mentale tipica della giovinezza, ricca di speranze, entusiasmi, desideri  e una condizione fisica che necessità di cure come accade nell’età senile.

    In conclusione i dati statistici riportano che sei bambini su dieci guariscono dal cancro ma solo quando un buon team multidiscilplinare si prende cura del bambino e della sua famiglia, in un continuo scambio di fiducia, condivisione e alleanza nel rispetto del bambino e delle sue emozioni.

    Diventa allora fondamentale conoscere i processi emotivi dei protagonisti per prevedere, contenere ed aiutare ad elaborare. A tale scopo la presenza della figura dello psiconcologo è di fondamentale importanza all’interno dell’equipe medica.

     

    Bibliografia

    Bosetti C, Bertuccio P, Chatenoud L, et al.
    Childhood cancer mortality in Europe,1970-2007.
    Eur J Cancer 2010;46(2):384-94.
    Guarino A. Psiconcologia dell’età evolutiva Ed. Erickson, 2006
    Kaatsch P. Epidemiology of childhood cancer.
    Cancer Treat Rev 2010;36(4):277-85.
    Pession A., Rondelli R. I tumori dei bambini e adolescenti in Italia
    Oncologia pediatrica 2013, vol. 43, n°172 pp 226-232
    Pritchard-Jones K, Kaatsch P, Steliarova-Foucher E, et al.
    Cancer in children and adolescents in Europe: developments over 20 years and future challenges. Eur J Cancer 2006;42(13):2183-90.

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