L’approccio bio-psico-sociale consente di cogliere e valutare come ugualmente importanti gli aspetti biologi del tumore (natura, sede, età d’insorgenza, trattabilità, ipotesi prognostica), quelli che si riferiscono al paziente (età, sesso, stato civile, livello socio-culturale, tipo di vita effettuata, personalità, meccanismi di difesa, precedenti psicopatologici) e al suo entourage (supporto sociale-familiare, rete amicale).
Ne consegue che l’efficacia dell’intervento terapeutico-assistenziale deve essere misurata facendo riferimento sia alla qualità dell’intervento tecnico, sia dalla capacità dell’equipe curante di confrontarsi con la dimensione intrasoggettiva, propria e altrui, e con quella interattiva-relazionale.
Per questo motivo l’oncologo e l’equipe di cui fa parte si avvalgono (o dovrebbero avvalersi!) della collaborazione dello psiconcologo che si svolgerà un’attività di consulenza o di “liaison”.
La consulenza è focalizzata sul paziente e, attraverso uno o più colloqui, mira a fornire al medico richiedente una risposta rispetto al motivo dell’invio.
La valutazione è generalmente incentrata sugli aspetti psicopatologici del paziente e sulle sue caratteristiche di personalità e comprende un’indicazione terapeutica.
Nell’attività di “liaison” (collegamento) diviene più complesso il tipo di collaborazione fornito all’equipe che si occupa del paziente oncologico e si pone come obiettivo di cogliere quanto di disturbato, disturbante o addirittura conflittuale può esistere nella relazione equipe e paziente.
L’obiettivo finale è il miglioramento della qualità dell’assistenza fornita che si può raggiungere attraverso una modalità di approccio al paziente individualizzata. Per poter mettere in pratica tale modalità è necessario condividere le informazioni riguardanti il paziente relative alla sua malattia, alla sua storia, al suo sistema di supporti sociali, i suoi bisogni, ecc. per poter assicurare una sua presa in carico globale.
Si tratta in realtà di un lavoro che deve “ricucire” un intervento rivolto al paziente divenuto sempre più frammentato a causa delle “superspecializzazioni” che poco comunicano tra di loro.
La presenza dello psiconcologo nelle riunioni settimanali di equipe, può costituire una risorsa per la strutturazione di lavori in gruppo che permettano la crescita di una cultura di equipe alla quale ognuno senta di appartenere e ne sia attivo protagonista.
Inoltre la figura dello psiconcologo può favorire la messa a punto di un programma terapeutico-assistenziale relativo ad un paziente cosiddetto “complesso” ma anche “tipico”; può verificare ed eventualmente intervenire sulla compliance del paziente; può stimolare la riflessione sui momenti più salienti di un percorso che si è concluso con l’exitus.
Questo è un momento prezioso per il personale curante poiché permette una sorta di elaborazione comune del lutto, una condivisione di pensieri e sentimenti, che se taciuti o negati possono portare ad un inaridimento delle risorse, energie, potenzialità che solitamente vengono messe in campo con il paziente oncologico.
Lo psiconcologo rappresenta una risorsa fondamentale per chi quotidianamente si trova a lavorare con il paziente oncologico, poiché consente la riflessione individuale o all’interno del gruppo di lavoro, su tematiche specifiche quali: problematiche legate al paziente terminale, atteggiamenti di fronte al paziente complesso”, il tipo di trattamento e i suoi effetti collaterali, il problema della comunicazione della diagnosi, le reazioni personali al problema cancro, la solitudine che si può provare all’interno dell’equipe stessa.
In quest’ottica l’attività di consulenza e liaison da parte dello psiconcologo rappresenta il veicolo clinico attraverso cui si realizza il confronto e lo scambio tra la cultura bio-medica e quella psicologica, sociale e psichiatrica.