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    Bimbi e cartoon, il gioco della fantasia

    La festa della fantasia. La sigla delle Winx trasforma il salotto in una sala da ballo: si fermi chi può. Povero Willy Coyote, però, con quel masso che lo livella al Canyon: da schiantarsi dal ridere. E che rabbia vedere il Pokemon preferito perdere una sfida: si rifarà, certo, ma adesso è triste. Allegria, euforia, paura, frustrazione, rabbia, tenerezza: i cartoni animati sono una scatola di emozioni. E, soprattutto, uno specchio per i bambini, che «si identificano nei personaggi e imitano le loro configurazioni espressive», spiega Rita Ciceri, docente di Psicologia generale all’Università Cattolica.

    Icartoon sono divertenti ma non sono un gioco. Lo dicono le ricerche, cercando di parlare ai genitori: Film d’animazione, maneggiare con cura. Perché hanno effetti sul breve e lungo periodo: provocano subito eccitazione emotiva e fisica e fanno vivere emozioni; nel tempo, accrescono la competenza linguistica, ampliano le conoscenze enciclopediche, arricchiscono il tratto grafico, ma possono anche condizionare l’esibizione emotiva («ci sono bimbi che piangono e spalancano gli occhi in modo esagerato»). Aspetti positivi e negativi. «I bambini hanno bisogno di storie in cui identificarsi, di solleticare e sollecitare la fantasia», continua Rita Ciceri. Detto questo, però, «è necessario che i contenuti dei cartoni vengano filtrati, selezionati, e le esperienze condivise con in genitori». E il discorso vale soprattutto per i programmi televisivi, «che fanno da sottofondo alla giornata e rischiano di immobilizzare davanti al monitor».

    Altra storia è il cinema: «Il film in sala è un gesto d’attenzione, un evento che coinvolge la famiglia», conclude la psicologa. Ha «tempi scanditi» e concede «la possibilità di un confronto». C’è cinema e cinema, però. «Come le fiabe — Pollicino, tra tutte — anche i film d’animazione non sono necessariamente "per bambini", nonostante quello che si pensi in Italia. Anzi, da noi manca una produzione espressamente dedicata ai piccoli», precisa Giannalberto Bendazzi, professore di Storia del cinema d’animazione all’Università Statale. Così «le famiglie arraffano quel che possono». In tv, ma anche al multiplex. Dalla Sirenetta in poi, continua Bendazzi, i cartoni animati si sono rivolti a un pubblico più vasto, «quello dei giovani-adulti. Basta vedere Alla ricerca di Nemo: il protagonista della storia è il padre, non il figlio. E i contenuti, le tappe di passaggio nella crescita dei personaggi, sono di difficile spiegazione ai bambini».

    Indagine su quasi 400 alunni di Milano, età compresa tra i 9 e i 13 anni. Il 17 per cento dice di aver avuto «paura» davanti ai cartoni in televisione, dodici su cento hanno «provato imbarazzo». Il motivo? «Nei cartoon c’è un tasso di aggressività tre volte superiore alla media della normale programmazione televisiva», spiega Vincenzo Russo, coordinatore dell’osservatorio «Bambini & Media» della Fondazione Iulm e curatore della ricerca. E, «a rischio», sono soprattutto «i bimbi sotto i tre-quattro anni che non distinguono la realtà dalla fantasia».

    Dunque, «mai dare per scontata la qualità dei programmi televisivi per bambini», anche nelle fasce protette: «È fondamentale la presenza dei genitori quando i figli guardano i cartoni animati», sottolinea Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro. Perché «da una parte il film d’animazione ha un linguaggio visivo che il bimbo comprende facilmente». Dall’altra, però, «i genitori non si rendono conto che i cartoni garantiscono una garanzia solo apparente — conclude Caffo — e possono avere contenuti fortemente complessi e talvolta anche tossici per aggressività e linguaggio improprio». Titoli di coda: «Mamme e papà condividano sempre la scelta dei cartoon e parlino con i loro figli dopo». Anche così si possono capire i sogni dei più piccoli.

    Fonte: http://www.corriere.it

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