Il disturbo dell’identità di genere (GID), riportato ultimamente alla ribalta dal film “The Danish Girl” che ricostruisce la vita del primo caso storico di persona transessuale operata chirurgicamente, si caratterizza per un forte identificazione con il sesso opposto.
Tale desiderio è al contempo accompagnato dalla disforia di genere, ovvero dal disagio per il proprio sesso biologico e dalla convinzione di essere nati del genere sbagliato.
Queste sensazioni vanno distinte dall’omosessualità, che si riferisce alla preferenza erotica verso individui dello stesso sesso, in cui non viene intaccato il rapporto con la propria identità corporea.
Solitamente il GID emerge durante l’infanzia per poi intensificarsi nell’adolescenza, periodo già colmo di problematiche, in cui vengono messe in discussione molte delle certezze acquisite precedentemente. Questo rappresenta un momento decisivo per lo stabilizzarsi definitivo del disturbo o, al contrario, per la sua remissione.
Difatti si tratta di una fase delicata piena di interrogativi e confusione generati dai cambiamenti morfologici ed ormonali tipici di quest’età, che innescano nell’adolescente un processo di revisione della propria identità di genere. Durante tale passaggio è frequente nutrire dei dubbi rispetto alla propria sessualità o al proprio corpo, ma non necessariamente questo implica l’esistenza di un GID.
Vanno considerate anche altre possibili spiegazioni, ad esempio durante l’adolescenza è molto diffusa la tendenza all’anticonformismo, che può indurre atteggiamenti ed azioni di trasgressione contro ciò che è culturalmente codificato: di conseguenza, anche comportamenti trans-genere potrebbero essere riconducibili solamente ad un’esigenza di non conformarsi ai canoni sociali.
Tuttavia se la disforia persiste l’adolescente può avere enormi difficoltà ad adattarsi ai modelli comportamentali connessi al suo ruolo di genere e provare avversione per le attività sesso-tipiche, esibendo sempre più apertamente atteggiamenti trans-genere. Se, in questo percorso, si trova esposto a reazioni di intolleranza da parte dei genitori, dei fratelli o del gruppo dei pari si accentua il vissuto di disagio e possono attivarsi condotte di isolamento sociale che acuiscono ulteriormente il conflitto interiore.
Spesso si tende a ricondurre questo disturbo al transessualismo, identificando con tale termine un individuo che richiede specifici trattamenti (quali l’assunzione di ormoni sessuali e la riassegnazione chirurgica del sesso) per realizzare il proprio proposito di appartenere al sesso opposto.
Tuttavia questa visione è fortemente riduttiva e, in considerazione di ciò, il DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) distingue tra disturbo dell’identità di genere della fanciullezza (il disagio e il desiderio di cambiare sesso sono limitati all’età infantile) disturbo dell’identità di genere dell’adolescenza e dell’età adulta di tipo non transessuale (sono comuni fenomeni di travestitismo ma non c’è desiderio di voler cambiare le proprie caratteristiche anatomiche) e il transessualismo, descritto in precedenza.
Ma quali fattori determinano l’instaurarsi di questa condizione?
Alcuni studiosi ritengono fondamentale il ruolo svolto dall’ambiente familiare, che esercita influenza attraverso la valorizzazione o la svalutazione della mascolinità o della femminilità, inducendo i bambini a mettere in atto quei modelli approvati dai familiari.
Anche le pressioni sociali producono un effetto notevole offrendo indicazioni incontrovertibili sui comportamenti ritenuti accettabili e conformi alle categorie della mascolinità e della femminilità. Tutto ciò si esprime mediante gli stereotipi sessuali, a cui l’adolescente è particolarmente sensibile.
Purtroppo in questo campo le ricerche di stampo genetico e biologico non sono approfondite e sistematiche e quelle esistenti presentano degli risultati discordanti.
In ultima analisi sappiamo che per riuscire a comprendere davvero il GID è necessario adottare una prospettiva multifattoriale che tenga conto dell’interconnessione tra elementi biologici, psicosociali e familiari, sebbene non sia individuabile il contributo che ciascuno di essi apporta separatamente dagli altri.
I trattamenti psicologici, siano essi individuali o di gruppo, possono aiutare la persona ad accettare la propria appartenenza di genere e a diminuire l’ansia e la depressione spesso correlate a questa situazione. Solo nel caso in cui la psicoterapia fallisca e la disforia di genere prosegua con insistenza può essere auspicabile un intervento teso a modificare il sesso biologico di appartenenza.
Bibliografia
American Psychiatric Association (1994). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, Fourth-Text Revision (DSM IV). Washington DC: APA.
Ammaniti, M. (a cura di). (2002). Manuale di psicopatologia dell’adolescenza. Milano: Raffaello Cortina.
Simonelli, C. (a cura di). (2002). Psicologia dello sviluppo sessuale e affettivo. Roma: Carocci.
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