Riconosce la madre naturale nella psicologa che le sta facendo un colloquio attitudinale, ma non è una storia a lieto fine
Si può leggere dell’accaduto in un articolo di Repubblica.
In questa sede, vogliamo invece riportare l’intervista che una nostra collega, Psicologa Clinica, ha rilasciato al quotidiano Il Messaggero.
Sicuramente la vicenda è particolare, ma perché questa tendenza a farci male da soli? Perché per una volta non riusciamo a stare in silenzio? Perché permettersi tali sentenze senza sapere fondamentalmente nulla di come sono andati i fatti? Perché disegnare così superficialmente tali fratture all’interno della nostra professione, già priva di identità professionale?
Spesso ci si lamenta, ma probabilmente stiamo solo raccogliendo ciò che quotidianamente si semina…
«Non ha controllato il suo egoismo»
La psicologa Malucelli: «Avrebbe dovuto cedere la pratica a un collega»
ROMA – «Una scintilla tra due emotività scosse che ha generato un evento così angosciante, una situazione paradossale dove sconvolge l’uso della propria responsabilità fatto dalla psicologa del lavoro. Ora c’è solo da impegnarsi perché da questo evento possa nascere qualcosa di buono», dice Maria Malucelli, psicologa clinica, commentando la vicenda di Padova, dove una giovane, nel corso di un colloquio di lavoro, ha scoperto che la propria madre naturale era la stessa dottoressa che la stava esaminando.
Come è potuto accadere?
«Cerchiamo di capire. Sappiamo che la donna a 17 anni ha fatto una scelta di non maternità abbandonando la neonata. Sappiamo che poi si è dedicata a studi di psicologia scegliendo l’indirizzo “lavoro”, quello che mette meno a contatto emotivamente le persone, anzi richiede una certa freddezza perché si devono valutare le persone solo attraverso determinati parametri attitudinali».
E invece proprio lì ha incontrato sua figlia…
«Sì, e si è ritrovata a vivere un impatto emotivo enorme. Ha perso il controllo. Non è riuscita a tenere il ruolo. L’ha invasa una curiosità morbosa che l’ha spinta a fare domande che non c’entravano niente con il test attitudinale. Ovvio che la ragazza si sia insospettita e abbia fatto domande».
Perché la madre “ha confessato”?
«Probabilmente ha sentito un forte attaccamento. Ha riscoperto una sensazione rimossa, quella della maternità e non è stata capace di controllarla. Come 26 anni prima, di fronte al dolore di una responsabilità precoce aveva abbandonato la figlia, 26 anni dopo ha dichiarato di essere madre ma perché era in una situazione dove aveva un ruolo dominante».
Cosa può averla spinta?
«Un egoismo patologico. Comprensibile che si sia sentita scossa, ma proprio per questo, scoprendo che aveva di fronte sua figlia, avrebbe dovuto proteggerla, passare il colloquio a un altro collega e scappare da un terreno minato».
E ora?
«Ora speriamo che la dottoressa del lavoro decida di utilizzare questo trauma per entrare in contatto con la propria sfera emotiva e fare un percorso di crescita».
Per la ragazza?
«Sarà difficile sul momento, ma alla fine potrà sentirsi libera da tutti i legami di fantasia che sono naturali nei figli abbandonatati e rivolgersi con tutta se stessa verso i genitori adottivi».
Loro, appunto, come passano questo momento?
«Avranno paura di essere rifiutati, ma non hanno niente da temere perché nessuno può togliere niente quando ci sono affetti stabili».
Intervista tratta da "Il Messaggero"
http://ilmessaggero.caltanet.it/