Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare di disturbi specifici dell’apprendimento, noti anche con l’acronimo DSA.
Occorre innanzitutto distinguerli da altri tipi di difficoltà di apprendimento che gli studenti per diversi motivi possono manifestare durante il proprio percorso di studi.
Fra le ragioni principali alla base di uno scarso rendimento scolastico ritroviamo: condizioni di handicap (mentale, sensoriale visivo, sensoriale uditivo, multiplo), disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), autismo ad alto funzionamento, disturbi del comportamento, problematiche emotive rilevanti, condizione economica e socio-culturale svantaggiata, inadeguato ambiente educativo, scarsa conoscenza della lingua d’insegnamento.
I disturbi dell’apprendimento si inseriscono in questo ampio ventaglio presentandosi come una sindrome clinica persistente nel tempo che riguarda specifiche abilità inerenti il processo di apprendimento di lettura, scrittura e calcolo.
All’interno di questa macro categoria vengono identificati quattro principali disturbi che sono: la dislessia (disturbo specifico della decodifica della lettura in termini di velocità e accuratezza), la disortografia (disturbo specifico della scrittura di natura linguistica, in termini di errori di ortografia), la disgrafia (disturbo specifico della scrittura di natura grafo-motoria, in termini di scrittura poco leggibile), la discalculia (disturbo specifico del sistema dei numeri, del calcolo e del problem solving matematico).
Nell’ICD-10 è presente questa distinzione mentre il DSM-V inquadra i DSA come un’unica categoria, richiedendo però di specificare se il DSA si caratterizza per: compromissione della lettura (dislessia), compromissione dell’espressione scritta (disgrafia/disortografia), compromissione del calcolo (discalculia).
La Consensus Conference (comunità scientifica internazionale) ha messo in evidenza che nella pratica clinica si riscontra frequentemente comorbilità sia fra i disturbi specifici dell’apprendimento stessi, che fra questi ed altri disturbi (ADHD, disturbo della condotta, disturbo oppositivo-provocatorio, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi somatoformi, disprassie, ecc.) che in alcuni casi, come nei disturbi d’ansia, possono essere la conseguenza dei vissuti derivanti dal DSA e dall'insuccesso scolastico che esso comporta.
Questi disordini non sono dunque dovuti a problemi di tipo psicologico o a disagio socio-culturale né tantomeno a deficit di intelligenza bensì hanno un’origine costituzionale di tipo genetico. Sono quindi intrinseci all’individuo, presumibilmente legati a disfunzioni del sistema nervoso centrale e possono essere presenti lungo l’intero arco di vita (Cornoldi, 1999).
Secondo la Consensus Conference l’origine dei DSA sarebbe da ricercare nella presenza di anomalie congenite in alcune aree cerebrali.
La struttura cerebrale e le connessioni neuronali necessarie all’elaborazione delle informazioni si sviluppano, in chi presenta un disturbo specifico dell’apprendimento, in modo diverso dalla norma: non si tratta di una mancanza ma di un processo differente. Come suggerisce la loro stessa denominazione “disturbi specifici dell’apprendimento”, la principale caratteristica di questi disturbi è la “specificità” il che vuol dire che tali difficoltà interessano unicamente un ambito specifico di abilità, in modo significativo ma circoscritto (processi di lettura, scrittura e calcolo) lasciando pressoché inalterata l’integrità del funzionamento intellettivo generale.
L'ICD-10 (International Classification of Diseases) e il DSM-V (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) li definiscono infatti come un'alterazione di una particolare funzione che interessa uno o più domini specifici.
Come indicato nel DSM-V per essere considerate significative a livello diagnostico le difficoltà di apprendimento devono persistere per almeno sei mesi nonostante la messa a disposizione di interventi mirati su tali difficoltà.
È fondamentale, se si sospetta la presenza di un DSA, procedere alla valutazione diagnostica il più precocemente possibile in modo da comprendere quale sia la natura delle difficoltà scolastiche e quali le aree maggiormente compromesse per intervenire al più presto favorendo un’evoluzione quanto più positiva.
La diagnosi va effettuata da una équipe multidisciplinare composta da Neuropsichiatra Infantile, Psicologo, Logopedista e eventualmente altri professionisti sanitari (la diagnosi clinica in Italia è permessa solo a psicologi e medici).
Per effettuare la diagnosi occorre utilizzare test standardizzati sia per misurare il livello cognitivo generale che le specifiche competenze di lettura, scrittura e calcolo (criteri diagnostici di inclusione).
In una seconda fase vanno invece effettuate quelle indagini volte a considerare i cosiddetti fattori di esclusione, ossia la presenza di patologie o anomalie sensoriali (es. deficit visivi o uditivi), neurologiche, cognitive gravi e di serie psicopatologie.
A completamento della diagnosi clinica vi è la diagnosi funzionale che descrive il profilo di funzionamento.
Essa riguarda la valutazione delle abilità fondamentali o complementari (linguistiche, percettive, prassiche, visuo-motorie, attentive, mnestiche), dei fattori ambientali e delle condizioni emotive e relazionali, prevede l’esame della comorbilità, che, come scritto sopra, può riguardare sia la compresenza di più disturbi specifici dell’apprendimento sia di questi ed altri disturbi evolutivi.
Il DSM-V richiede inoltre di esprimersi sulla severità del disturbo che può essere lieve, moderata o grave. Il disturbo sarà quindi:
> lieve se vi sono alcune difficoltà ad apprendere competenze in uno o due ambiti scolastici ma di intensità sufficientemente tenue da permettere all’individuo un buon funzionamento grazie ad adattamenti del metodo didattico e supporti compensativi appropriati durante la frequenza scolastica;
> moderato se le difficoltà nella capacità di apprendimento in uno o più ambiti scolastici sono così marcate che difficilmente l’individuo riesce a sviluppare competenze in assenza di un insegnamento intensivo e specializzato. Sono quindi necessari alcuni adattamenti e supporti compensativi, a scuola come a casa: facilitazioni, ridimensionamento del lavoro, servizi di sostegno saranno utili al soggetto per riuscire a portare a termine le sue attività in modo adeguato;
> grave se vi sono evidenti difficoltà nell’apprendere competenze in diversi ambiti scolastici e tali difficoltà risultano a tal punto consistenti da rendere improbabile l’apprendimento in assenza di un insegnamento intensivo, specifico, personalizzato e continuativo. Nonostante l’uso di tali adattamenti e misure compensative messe a disposizione sia a scuola che a casa il soggetto non è in grado di portare a compimento le proprie attività in modo efficiente.
Data l’importanza di individuare tempestivamente l’effettiva presenza di un DSA, vediamo di seguito quali sono i possibili indicatori di rischio. Cominciamo col dire che anche se l’associazione con altri disturbi o difficoltà non può essere in alcun modo considerata causa del DSA, essa può di per sé segnalare l’esistenza di un DSA già in età molto precoce (primi anni di scuola dell’infanzia).
Già nella prima e seconda infanzia si possono riscontrare diversi possibili indicatori: relativamente allo sviluppo del linguaggio vi può essere ritardo nella produzione delle prime parole (oltre i 18 mesi) e delle prime brevi frasi (oltre i 30 mesi), accompagnato da confusione di suoni, frasi incomplete, sintassi inadeguata, inadeguata padronanza fonologica (sostituzione di lettere simili, omissione di lettere o parti di parole), scarsa abilità nell’uso delle parole (uso di parole non adeguate al contesto), difficoltà a memorizzare nomi anche di oggetti conosciuti e usati di frequente, difficoltà a imparare a scrivere il proprio nome, inadeguatezza nei giochi linguistici (giochi di parole, rime), difficoltà a dividere la parola in sillabe (analisi sillabica), problemi nella memoria a breve termine (in particolare nel ricordare elenchi, specie se in sequenza), difficoltà a ripetere sequenze ritmiche, difficoltà nella copia da modello e disordine nello spazio del foglio, scarsa coordinazione, manualità difficoltosa, difficoltà a compiere compiti che comportano abilità motorie (allacciarsi le scarpe, ritagliare, infilare perline).
Le problematicità continuano nella scuola primaria e si possono manifestare nella lettura (lenta, difficoltosa e stentata), così come nella scrittura (dimenticanza di lettere nelle parole o disposizione nell’ordine sbagliato) e nel calcolo (difficoltà a contare all’indietro, a ricordare le tabelline, ecc.).
I bambini che presentano indicatori di rischio vanno indirizzati ad approfondimenti clinici specifici per confermare o escludere l’ipotesi di DSA.
A partire dalla scuola primaria è possibile effettuare la diagnosi, in particolare dalla fine della classe seconda per quanto riguarda dislessia, disgrafia e disortografia, e dalla fine della classe terza per la discalculia.
Le scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, devono attivarsi tempestivamente per individuare i casi sospetti di DSA poiché un intervento precoce oltre a facilitare una prognosi più favorevole può prevenire gli effetti del disturbo sulle variabili emotive, arginare eventuali disturbi psicologici, nonchè ridurre il rischio drop-out scolastico.
Si tratta quindi di un processo complesso e doveroso che lo psicologo, coadiuvato da altre figure, è chiamato a condurre con accuratezza ed attenzione in ogni sua fase «al fine di costruire una “alleanza per lo sviluppo” tra bambino/famiglia, operatori scolastici, insegnanti» (PARCC, 2011).
Bibliografia
A.P.A., Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione (DSM-V), Milano, Raffaello Cortina, 2014.
Cornoldi C., Le difficoltà di apprendimento a scuola, Bologna, Il Mulino, 1999.
Grandi L., Guida alla dislessia per genitori, Faenza, Associazione italiana dislessia, 2012.
DSA Documento d’intesa, PARCC 2011.
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