Tra gli interventi di formazione che si sono sviluppati nel nostro Paese, un ruolo importante hanno svolto in questi anni i corsi finanziati dal Fondo Sociale Europeo (FSE). Questi interventi hanno dimostrato un livello di efficacia generalmente positivo: sulla base dei primi risultati di valutazione degli esiti occupazionali di chi ha frequentato, nel 2000-2001, corsi di formazione FSE svolti nelle regioni del Centro Nord, emerge che il 68,5% dei partecipanti ha dichiarato di aver trovato un’occupazione. Particolarmente positivo il dato della componente femminile dei partecipanti, il 69,6% contro il 67,2% di quella maschile.
Tuttavia dall’analisi dei dati raccolti emerge come questo tipo di corsi tenda a rafforzare le chance occupazionali dei segmenti relativamente più forti: infatti, i tassi d’inserimento sono più alti per le classi d’età tra i 25 e i 34 anni e per chi dispone, al momento dell’iscrizione al corso, di un titolo di studio elevato. Particolarmente deludenti sono invece le performance occupazionali degli uomini con un’età superiore ai 40 anni o in possesso solo di una licenza media inferiore.
I corsi finanziati dal FSE continuano comunque a rappresentare delle utili alternative ai master a pagamento e ai dottorati, soggetti a forti restrizioni. Non è infatti solo una questione di costi elevati: anche gli esiti occupazionali sono spesso inferiori alle aspettative dei partecipanti. Va detto che, al di là delle scelte, il bisogno di formazione e di specializzazione è in crescita, come dimostra il boom delle immatricolazioni universitarie negli ultimi anni. Ma ad un aumento della domanda non ha fatto seguito un aumento dei fondi stanziati. Permane, dunque, il divario che separa la quota di spesa pubblica destinata all’istruzione in Italia a quella dei paesi nordici dell’Unione Europea, dove i finanziamenti all’istruzione raggiungono i più alti livelli (Danimarca 15,3% e Svezia 13,1%).
Nella finanziaria del 2006 a riguardo si registra un taglio di circa 75 milioni di euro. Può sembrare poco rispetto ai quasi sette miliardi del totale (poco più dell’1%), ma appena si riflette sul fatto che circa il 90% di quei sette miliardi è destinato a pagare gli stipendi del personale, ovviamente non comprimibili, si comprende che il taglio effettivo alle spese è ben più pesante, attorno al 10%. Tuttavia i tagli previsti sembrano destinati ad avere ripercussioni anche sul personale dipendente: di qui la preoccupazione dei circa 400 dipendenti dell’Isfol, Istituto per lo Sviluppo della formazione professionale dei Lavoratori.
Autore: Fabio Radaelli
Fonte: http://www.jobonline.it/