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    Il Pil e il problema della quantità

    Il 19 e 20 novembre prossimi a Bruxelles si tiene, per volontà della Commissione europea, un convegno dal titolo piuttosto impegnativo: Beyond GDP. Tradotto in italiano, vuol dire Oltre il Prodotto interno lordo (PIL). Che significa andiamo oltre la misura grossolana della ricchezza delle nazioni e iniziamo a misurare il vero benessere dei popoli. Addirittura, dice qualcuno, la loro felicità.

    È giusto e persino piuttosto facile criticare il Pil, il prodotto interno lordo. Perché è un indicatore davvero grezzo. Per esempio, se io sto bloccato da due ore nel traffico, completamente fermo, con i nervi a fior di pelle, ma col motore della mia auto acceso, l’indicatore Pil misura un aumento della ricchezza nazionale (consumo benzina e ne dovrò presto acquistare altra). Se, al contrario, sono un volontario che da due ore aiuta un anziano non autosufficiente a sbrigare le faccende di casa e lui in cambio mi impartisce una lezione di matematica superiore, il Pil neppure si accorge che sono aumentati il benessere e dell’anziano e mio.

    Un Pil così – che misura solo lo scambio di beni che hanno un valore di mercato – non funziona. E non solo perché premia gli sprechi e non sa misura lo sviluppo culturale e le relazioni interpersonali. Ma anche perché è del tutto indifferente alle disuguaglianze sociali. Il Pil misura la stessa quantità di ricchezza in una nazione formata da 999 persone che non hanno il becco di un quattrino a da un miliardario e in un’altra nazione formata da 1.000 milionari. Inoltre non tiene conto della dissipazione dei “capitali della natura”.

    Se qualcuno avesse misurato il Pil dell’isola di Pasqua mentre la popolazione abbatteva l’ultimo albero, avrebbe registrato un ulteriore aumento di ricchezza e non la fine di una civiltà. Uno strumento del genere per misurare il benessere dei cittadini di una nazione è davvero poco utile. Spesso è fuorviante.

    Tuttavia occorre molta prudenza nella critica. Perché se il Pil non misura la reale ricchezza di una nazione, non è vero il contrario: il Pil non misura necessariamente il malessere di una nazione. Paesi con un basso Pil non sono, per ciò stesso, più felici. La loro popolazione non vive necessariamente in maniera socialmente ed ecologicamente più sostenibile. Non bisogna andare nei paesi dell’Africa sub-sahariana con il Pil più basso del mondo per rendersene conto. Anche il nostro paese, il cui Pil cresce meno che nel resto d’Europa, negli ultimi venti anni ha visto deteriorarsi sia la sostenibilità sociale che ecologica.

    Oltre il PIL, dunque, non c’è la semplice decrescita. C’è qualcosa di molto più complesso. C’è una società che ha valori diversi da quella attuale. Che utilizza meno beni materiali e meno energia (non rinnovabile). Ma che incrementa la propria cultura, le relazioni umane, il benessere fisico e psichico delle persone. C’è, in altre parole, una società che punta certo sulla qualità, ma non disconoscendo la quantità. Facendo, piuttosto, una cernita saggia dei parametri quantitativi.

    Articolo di Pietro Greco, tratto da: www.greenreport.it

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