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    Il ruolo del caregiver dell’anziano con malattia di Alzheimer

    La malattia di Alzheimer (AD) è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalente in età presenile.

    Essa determina nell’anziano che ne è colpito gravi disturbi della memoria, del linguaggio, del ragionamento astratto e della motricità e ha un elevato impatto assistenziale.

    Gran parte degli anziani con Alzheimer è assistita dai familiari; ne consegue la grande importanza del ruolo della famiglia nel trattamento della malattia e nel sostegno del malato.

    La situazione si complica se si pensa che spesso i malati di AD e le loro famiglie vivono in situazioni di difficoltà e di abbandono e a tale disagio si aggiunge l’impegno fisico, psicologico ed economico necessari per l’assistenza.

    In sintesi, gli effetti della demenza sui caregiver sono molteplici: psicologici, relazionali, sulla salute, sull’attività lavorativa, sul rischio di istituzionalizzazione. Poiché le richieste assistenziali cambiano con l’evolvere della malattia, si parla di “carriera del caregiver”.

    Nasce dunque l’urgente esigenza di comprendere chi è il caregiver della persona con Alzheimer e cosa può fare per rendere il percorso assistenziale meno difficoltoso e migliorare in questo modo la sua qualità di vita e quella dell’anziano di cui si prende cura.

    Il caregiver può essere un familiare, un operatore, un badante o un volontario ed è necessario che conosca bene la malattia e le conseguenze che essa ha sul comportamento del malato per saper affrontare tutti gli ostacoli della vita quotidiana e potersene prendere carico con coscienza.

    Le prime regole di cui tener conto riguardano la comunicazione con l’anziano con demenza; nell’interazione quotidiana risulta utile:

     

    • mantenere il contatto visivo per evitare che l’anziano si isoli;
    • non avere pregiudizi (es: “…Tanto non capirà!”);
    • usare frasi corte e parole semplici evitando spiegazioni lunghe;
    • evitare domande che inizino con “Perché…?” o “Come…?”;
    • non cambiare improvvisamente argomento di conversazione;
    • usare nomi e cognomi ed evitare i pronomi personali;
    • usare frasi affermative e non interrogative;
    • informare su quello che si sta per fare o si sta facendo.

     

    Sono da evitare pertanto domande indirette, domande chiuse tipo interrogatorio, espressioni ambigue o metaforiche e deduzioni per facilitare la comprensione che potrebbe essere più o meno compromessa in base allo stadio della malattia.

    Inoltre, durante la fase intermedia, l’anziano dimentica facilmente, non riesce a vivere più da solo, non può cucinare o pulire, diviene dipendente, ha bisogno di assistenza per l’igiene e per vestirsi e presenta importanti disturbi del linguaggio e del comportamento.

    Il caregiver può affrontare la ripetitività verbale rispondendo con tatto, avvicinando la persona, guardandola negli occhi e toccandola con affetto, cercando di comprendere quale emozione sia sottostante la ripetitività (malessere, ansia, insicurezza, ecc.).

    In una fase più avanzata della malattia invece l’anziano può avere difficoltà nell’alimentazione, nel riconoscere parenti e amici, nel riconoscere i percorsi interni a casa e nel camminare; possono insorgere incontinenza, comportamenti disinibiti e non raramente capita che finisca confinato a letto o su una sedia a rotelle.

    Per questo motivo è molto importante dare attenzione alla persona usando spesso il contatto fisico, cogliere le emozioni sottostanti le poche parole che l’anziano riesce ancora a pronunciare e rivolgersi a lui con frasi elementari associate a gesti ed espressioni che ne suggeriscano il contenuto.

    Il disorientamento spazio-temporale genera nell’anziano ansia in quanto la giornata non è più strutturata, quindi sarebbe opportuno dargli sicurezza aiutandolo a capire il tempo, installando grandi orologi, calendari con grosse cifre o utilizzando esempi basati sulla vita quotidiana (es: “…quando tutti hanno bevuto il caffè” o “…quando la lavatrice ha finito il ciclo”).

    Il caregiver può aiutare l’anziano a fronteggiare l’incapacità di riconoscere oggetti o persone spiegandogli cos’è un oggetto o chi è una determinata persona se necessario, dando alla persona l’oggetto giusto se ha preso quello sbagliato, rispettando il suo modo di vedere ed evitando inutili correzioni, non enfatizzando l’errore, cercando di non offendersi se la persona non lo riconosce.

    Ansia e paura sono spesso presenti nell’anziano con disorientamento e incapacità di riconoscere cosa gli sta attorno. Queste emozioni possono essere prevenute cercando di mantenere un ambiente stabile e orari regolari, cercando di ridurre i possibili motivi di paura e cercando di mantenere un’atmosfera serena in casa. Se l’anziano ha paura, si potrebbe: utilizzare il contatto fisico per rassicurarlo, rispondere ai sentimenti che esprime, distrarlo se possibile o, se l’ansia è grave, rivolgersi al medico.

    Non sono rari comportamenti imbarazzanti o disinibiti dovuti alla malattia di Alzheimer. In questi casi sarebbe opportuno evitare di reagire in modo eccessivo, allontanare l’anziano o distrarlo e chiedersi se è proprio necessario contrastare il suo comportamento. Parlare di questo disagio con persone che lo hanno vissuto o lo stanno vivendo potrebbe allentare lo stress percepito dal caregiver.

    Per prevenire tali comportamenti si potrebbe comunque cercare di individuare una costante che permetta di scoprire la causa di quel comportamento.

    Deliri e allucinazioni possono provocare paure intense o scatenare comportamenti aggressivi; la persona deve far fronte a una situazione che non capisce e che non riesce a controllare. È molto importante di fronte a questi eventi la reazione del caregiver.

    Come in altri casi, è bene cercare di rassicurare l’anziano senza mettere in discussione le sue convinzioni o deriderlo, e mostrargli che si comprende il suo stato d’animo; dopodiché, solo in una fase lieve della malattia, riportarlo con tatto alla realtà assumendo un ruolo protettivo e rassicurante. Si può poi cercare di distrarre la persona orientandola verso qualcosa di più piacevole ricordando che fonti ambientali di disturbo (tv, specchi, ecc.) e bruschi cambiamenti di ambiente possono scatenare e potenziare il problema.

    Si indica inoltre di parlare con il medico per un’eventuale terapia farmacologica dei sintomi.

    Infine, potrebbe essere utile adottare alcuni accorgimenti riguardo l’ambiente tenendo presente che, in ogni fase della malattia, esso può compensare o accentuare le conseguenze del deficit cognitivo. Lo spazio e l’ambiente possono rappresentare, per la persona affetta da demenza, da un lato una risorsa terapeutica, dall’altro il motivo scatenante di alterazioni comportamentali apparentemente ingiustificate.

    È consigliabile quindi:

    • eliminare le fonti di pericolo;
    • semplificare al massimo l’ambiente e la disposizione degli oggetti;
    • evitare o ridurre al minimo i cambiamenti (cambiare disposizione ai mobili o ai quadri può comportare problemi, lo spostamento del letto può favorire la comparsa di incontinenza perché il paziente non riesce a trovare la via per il bagno);
    • fornire indicazioni segnaletiche per orientarsi nelle varie stanze;
    • fare in modo che le stanze siano ben illuminate ed evitare la presenza di rumori e suoni disturbanti.

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