Cominciano a 10 anni, un po' in ritardo rispetto alla media dei ragazzi europei. Ma «navigano» quasi tutti, nove su dieci, più della metà tutti i giorni. E altrettanti hanno un profilo su un social network. In maggioranza usano il computer in camera propria e non in uno spazio comune, quindi con meno possibilità di controllo. Non solo: si diffonde (ma solo nel 9% dei ragazzi italiani) l'uso di Internet, chat via smartphone e supporti mobili, che sono ancora meno controllabili. La relativa arretratezza dei ragazzi italiani li preserva, più che in altri Paesi, anche dai rischi della rete, ma la scarsa competenza li rende più vulnerabili. E il diffuso semianalfabetismo informatico di genitori e insegnanti impedisce un adeguato supporto.
Questo ritratto dei nostri giovani «smanettoni» emerge da una grande ricerca europea (25.142 ragazzi dai 9 ai 16 anni in 25 Paesi europei) finanziata dal Safer Internet Programme della Commissione Europea. L'indagine, realizzata dalla rete EU Kids Online è stata presentata ieri a Milano in un'assise non di sociologi o psicologi, ma sorprendentemente di pediatri, nel corso di un incontro chiamato «Stati generali della pediatria»: generali sia perché concorrono tutte le componenti dei «medici dei bambini», sia perché dedicato a temi che toccano in generale lo stato di benessere dei più giovani.
«Ci colpisce l'ampia diffusione dei social network, che veramente sembrano sostituire l'oratorio, la piazza, la discoteca — dice il dottor Alessandro Fiocchi, presidente della Società di pediatria lombarda —. Il che ha tanti aspetti positivi, ma anche qualche rischio. Per esempio il fatto che si ritrova su Internet il problema del bullismo, anche se resta un fenomeno più diffuso offline. E c'è anche il fatto che i ragazzi non sanno, e tantomeno i loro genitori, gestire i problemi di privacy e sicurezza».
Complessivamente la ricerca evidenzia il fatto che i ragazzi italiani sono più indietro come cybernauti e quindi corrono anche meno rischi. C'è da esserne contenti? «Niente affatto, non siamo contenti del ritardo, anche se si riducono i rischi, perché i ragazzi perdono le grandi opportunità formative e informative che può dare Internet — dice Fiocchi —. La ricerca che presentiamo è centrata sui pericoli della rete, ma noi abbiamo voluto anche proporre un Manifesto di proposte poco "pediatriche": promuovere la banda larga, attrezzare e coinvolgere le scuole, favorire le opportunità positive della rete ed educare al suo uso consapevole e responsabile».
«È vero che i ragazzi che usano di più il computer e sono più competenti hanno maggiori probabilità di essere esposti ai rischi — dice il sociologo Piermarco Aroldi, responsabile di OssCom, centro di ricerca su media e comunicazione dell'Università Cattolica di Milano, che ha curato il polo italiano dell'indagine europea —. Ma emerge anche chiaramente che chi riferisce di aver subito qualche danno è mediamente meno competente nell'uso del mezzo. È come andare in bicicletta: più si impara, meno si rischia di farsi male».
«La questione di fondo è affrontare la sfida dell'uso della rete in funzione educativa in modo realistico, non prevenuto e con la fiducia che la sfida valga la pena. Bisogna pensare alla rete come qualcosa di fisiologico, non patologico». E a proposito di patologie, promuovere l'uso del computer non può essere dannoso per la salute dei ragazzi? «I problemi di salute derivano, come per la tv, dalla sedentarietà e dallo stare chiusi in casa — risponde il pediatra —. È evidente che educare al computer comprende anche promuovere uno stile di vita più equilibrato, che comprenda lo sport e l'aria aperta».
Fonte: http://www.corriere.it/salute/
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