L'uso di cannabis è più frequente tra i giovani emotivamente vulnerabili, che assumono la sostanza principalmente per controllare stati d'animo negativi e ansia. è quanto emerge da un'inchiesta condotta da tre psicologi dell'Università del Vermont e pubblicata su Addictive Behavior, rivista specializzata nelle dipendenze.
I ricercatori hanno studiato i motivi che spingevano 141 consumatori di marijuana (età media, 20 anni) ad assumere la sostanza nel corso di un mese. Come gli studiosi si aspettavano, l'uso di marijuana tra i soggetti intervistati era legato a motivi di socializzazione, al desiderio di accrescere le proprie esperienze e le proprie potenzialità e all'esigenza di far fronte a stati d'animo negativi o dolorosi. Tra questi spiccava l'ansia, per la quale la sostanza veniva assunta a scopo preventivo. Sembra dunque che tra i giovani consumatori di cannabis sia frequente una particolare vulnerabilità emotiva, che si esprime soprattutto con una difficoltà a tollerare l'ansia. Dalla ricerca appare quindi ridimensionata l'importanza del conformismo tra le motivazioni che spingono i ragazzi a fumare marijuana, dato che l'uso della sostanza sembra motivato soprattutto da un bisogno personale.
Il ruolo giocato dalla cannabis nel regolare stati d'animo percepiti dai consumatori come negativi o spiacevoli è stato evidenziato da numerosi studi, che hanno messo in luce peculiari differenze tra le motivazioni che spingono all'uso di questa sostanza e quelle che inducono, invece, al consumo di alcool: tra queste ultime, ad esempio, predomina il desiderio di apparire più spigliati e sicuri in situazioni di interazione sociale. La marijuana è, con l'hashish e gli altri derivati della canapa indiana (cannabis indica), una delle sostanze più usate al mondo. La sua diffusione in occidente raggiunse un picco alla fine degli anni '70 del secolo scorso. La cannabis indica cresce spontaneamente e viene coltivata in molte aree del pianeta. I primi riferimenti alle sue proprietà farmacologiche si trovano in Cina e risalgono almeno al secondo millennio prima di Cristo, mentre le sue proprietà inebrianti sono descritte nei Veda, le più antiche testimonianze del pensiero e dei costumi religiosi indiani. In Europa il suo uso si diffuse nel XIX secolo, dopo la campagna d'Egitto di Napoleone. La principale (ma non l'unica) sostanza attiva liberata dal fumo di cannabis è il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), che agisce su specifici recettori cellulari, denominati CB1 e CB2.
I recettori sono proteine che si trovano sulla superficie delle cellule e che funzionano da bersaglio per il THC, permettendogli di esercitare i suoi effetti farmacologici. I recettori CB1 si trovano nel cervello, mentre i CB2 nel sistema immunitario. In condizioni fisiologiche questi recettori sono attivati da sostanze che hanno effetti simili alla cannabis, ma che vengono prodotte dagli stessi neuroni: i cosiddetti endocannabinoidi, tra i quali il più studiato è l'anandamide.
Gli effetti che l'assunzione di cannabis produce sulla psiche sono: sensazione di benessere, euforia ed empatia, alterazione del senso del tempo, della velocità del pensiero e della memoria, sensazione di provare percezioni speciali. Fumare hashish o marijuana, inoltre, aumenta l'appetito e rallenta i riflessi. L'effetto della sostanza persiste fino a 3-4 ore quando viene fumata e 8 ore o più se ingerita e il suo uso prolungato può interferire in ambito scolastico o lavorativo, per il suo effetto negativo sulla capacità di memorizzare nuove informazioni. Una forma di intossicazione cronica che è stata descritta nei fumatori abituali è la cosiddetta "sindrome amotivazionale", caratterizzata da apatia, riduzione delle ambizioni, difficoltà a mantenere la concentrazione e l'attenzione, introversione, deficit nelle situazioni interpersonali e lavorative. Ad alte dosi la cannabis può indurre attacchi di panico: questo effetto è più frequente in chi fuma per la prima volta o nei consumatori abituali che riprendono dopo un periodo di astinenza.
Un altro effetto indesiderato (usata ad alte dosi) è un aumento del livello di allarme e vigilanza, che talvolta può sfociare in vera e propria paranoia. Il fumo di hashish o marijuana può essere senz'altro dannoso per le persone affette da schizofrenia, esponendole al rischio di ricadute. Sembra, anzi, che l'uso di marijuana e simili possa favorire, nelle persone predisposte, l'insorgenza di disturbi psicotici a causa dell'eccessiva stimolazione di una particolare regione cerebrale, che presiede alle sensazioni di gratificazione e di euforia conseguenti l'uso di sostanze stupefacenti: la via dopaminergica mesolimbica. Si ritiene, infatti, che questa zona del cervello sia coinvolta anche nella produzione di alcuni sintomi della schizofrenia, come i deliri e le allucinazioni.
Il THC e gli altri cannabinoidi (sostanze attive presenti nella cannabis) inducono tolleranza (necessità di aumentare la dose per ottenere lo stesso effetto). La questione se inducano dipendenza è ancora dibattuta, tuttavia in forti fumatori sono state descritte "crisi d'astinenza" caratterizzate da irritabilità, malessere e insonnia. Alcune ricerche sembrano indicare che alcuni tratti di personalità come la labilità affettiva e l'impulsività possano favorire l'instaurarsi di una dipendenza.
Autore: Francesco Cro (Psichiatra, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Viterbo)
Fonte: http://www.antiproibizionisti.it