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    La capacità decisionale del paziente oncologico

    In questo articolo si vuole approfondire la “crisi” che la donna attraversa nel momento in cui viene diagnosticato un tumore al seno e/o all’utero.
    La malattia tumorale nella donna, soprattutto quando investe le parti del corpo che sono il simbolo della femminilità, trasforma quelli che sono generalmente i simboli della vita (seno, utero) in significati di morte e di perdita.

    Si sviluppa uno stato di ansia e instabilità che può condurre ad uno stato di confusione e intensificare aspetti di passività e autodistruzione.

    La capacità della donna di reagire e adattarsi alla malattia, dipendono dalla qualità della vita che aveva prima della malattia.
    Nel confronto con la malattia due sono le strade che può percorrere.

    Una è quella della negazione, della rassegnazione, per cui la malattia prevale portando alla rottura del processo evolutivo del sé con conseguente senso di fallimento.

    L’altra strada consiste nel rafforzare la capacità emotiva, dove i sentimenti della difettosità vengono controbilanciati da quelli della bellezza, della gioia di vita, tanto da far emergere la speranza e il sentimento di essere ancora viva e creativa.


    Compito dello psiconcologo
    in una situazione così complessa è creare un’alleanza non solo con la paziente ma anche con l’oncologo di riferimento per rispondere al bisogno di cura e aiuto della paziente. Sia lo psiconcologo che il medico dovranno costruire un’alleanza con la parte sana della donna per far emergere quelle che sono le potenzialità di vita legate alla “buona famiglia interna”.

    Per esempio lo psiconcologo potrà assumere atteggiamenti “materni” di continuità e ascolto per consolare “la bambina terrorizzata”, mentre il medico potrà svolgere una funzione “paterna” di competenza-intervento-informazione che aiuterà la parte adulta della paziente a pensare ed attuare percorsi operativi.

    Questi ruoli non sono rigidamente determinati, poiché sta nella capacità di medico e psiconcologo capire quale ruolo è necessario assumere in relazione a quello che porta la paziente. E’ importante che una volta individuate le potenzialità della donna vengano comunque rispettati i suoi tempi e la sua capacità decisionale riguardo l’iter della propria malattia.


    Per il medico può essere molto utile capire il livello di possibilità cognitiva ed affettiva della paziente per la comprensione e il contenimento dei messaggi che da questa riceve. Ecco allora che lo psiconcologo può lavorare per raccogliere la biografia della donna, che permette di esplorare le relazioni interpersonali nella famiglia e aumentarne la comprensione delle dinamiche.

    E’ importante per esempio comprendere se la donna si assume una “responsabilità positiva” nei riguardi della propria sofferenza, cioè se si sviluppa il suo ruolo di donna, moglie, madre accettando modifiche e cambiamenti in nome della sua vita.
    Oppure se prevale il senso di colpa per essersi ammalata rinnegando il proprio diritto alla vita. Può accadere che il vissuto della donna “sono malata”, “valgo poco”, “divento brutta”, scateni un senso di invidia verso le altre donne mentre verso i componenti della famiglia può oscillare tra “io faccio star male tutti” e “tutti fanno star male me” perché hanno più di me.

    Compito del medico e dello psiconcologo è allora costruire un’alleanza tra l’ambiente e la parte sana adulta della donna per stimolare “un sano egoismo”, cioè la rinuncia all’idea di non meritare di vivere in favore del prendersi cura di sé, che significa assumersi la responsabilità del proprio ruolo nel sistema familiare.

    Questo si ripercuote in maniera positiva sulla capacità decisionale della donna in base a ciò che la  realtà oggettiva e soggettiva richiedono. Se invece si resta paralizzate dall’angoscia derivante dalla malattia, si viene a perdere quello che è il coraggio di decidere.
     
     
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