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    La gestione del malato di Alzheimer a domicilio

    Restare a casa il più a lungo possibile: utopia o realtà per i malati di alzheimer?

    Il demente è un ricco divenuto povero” – Esquirol, 1814 

    La malattia di Alzheimer è la forma più diffusa di demenza, è una malattia degenerativa del cervello, dovuta alla morte progressiva e irreversibile dei neuroni e della possibilità di comunicare tra loro.
     
    Il quadro anatomo-patologico principale è caratterizzato da lesioni cerebrali note come “gomitoli neurofibrillari” e “placche senili”, agglomerati di proteina Tau e Abeta distrofiche che, invece di essere smaltiti correttamente, ad un certo punto iniziano ad ammucchiarsi, ingolfando il cervello e facendo letteralmente morire i neuroni, secondo uno schema ricorrente.
     
    La causa della malattia, l'avvio che porta alla cosiddetta cascata di eventi nota come “cascata della Beta-amiloide” non è nota; infine, la malattia può iniziare a qualsiasi età, sia parecchio tempo prima, che alcuni anni dopo i 65, ragion per cui la distinzione in forma di demenza presenile e senile sembra non avere più ragione di esistere, collocandosi, l'esordio, lungo un immaginario continuum che, virtualmente, non ha limiti né in un verso né nell'altro.

    Contrariamente a quanto ancora spesso si pensa, la demenza non costituisce una conseguenza inesorabile, un "destino ineluttabile" di chi invecchia. Molti conoscono persone che, novantenni o centenarie, conservano, sia pure con qualche acciacco, un cervello "arzillo" e ben funzionante: non si tratta di "mostri", ma della testimonianza più evidente che è possibile raggiungere i confini dell'esistenza in salute. Sono la prova vivente di come sia possibile invecchiare con dignità.

    Fin qui, alcune “pillole” brevi ed incisive, per dare un quadro sommario di una malattia il cui volto, da trent'anni a questa parte, grazie anche al contributo di cinema, letteratura e persino dei fumetti (come dimenticare il mervaiglioso “Arrugas – Rughe” di P. Roca?) è sempre più definito e noto, non solo agli specialisti ma anche alla gente comune.
    Non esiste persona ormai, su questo pianeta, che non l'abbia sentita nominare almeno una volta: la malattia di Alzheimer è lo spauracchio, l'epidemia silente di questo nostro nuovo secolo.

    Altra questione dolorosamente conosciuta da tutti è l'impossibilità, per il malato di Alzheimer, di permanere nella propria casa e lì terminare la propria esistenza: sembra infatti che, chi prima, chi dopo, tutti i malati siano destinati a finire in una struttura residenziale, poiché la malattia porta con sé tutta una serie di disturbi comportamentali quali, ad esempio, agitazione, aggressività, deliri, allucinazioni, disturbi dell'alimentazione, vagabondaggio afinalizzato, euforia o, al contrario, depressione, disinibizione, disturbi del sonno eccetera, che, alla lunga, rendono impossibile, per la persona e per chi la assiste, la possibilità di mantenere una vita dignitosa e sicura all'interno della propria abitazione.
     
    Ma è davvero così?
    E' proprio impossibile, per chi assiste, diventare un “curante” nel senso di “Prestatore di cura”, alla stregua del professionista sanitario che prescrive i farmaci al proprio caro?
    Non c'è nulla che un familiare (o caregiver) può fare nel tentativo di mantenere il più a lungo possibile il malato a casa, evitando, al contempo, di esaurirsi dal punto di vista umano, fisico e psicologico, inseguendo la chimera della salvezza e del miracolo?
     
    Nessuno di noi possiede, per quanto capace, i poteri necessari a far ricrescere i neuroni cerebrali; per quanto amore possiamo impiegare nell'assistenza quotidiana al malato, sappiamo già che la lotta, almeno per adesso, contro la demenza e l'avanzare della Beta-Amiloide è persa in partenza.
     
    E allora?
    Esiste qualcosa che possiamo ancora fare?
    C'è un “campo di battaglia” (per proseguire con la metafora della guerra) sul quale possiamo ancora fare la differenza e farla per parecchio tempo?
     
    La risposta è, naturalmente, sì. Il campo di battaglia, prezioso ma, spesso, molto trascurato, è l'ambiente di vita della persona malata e della sua famiglia.

    L’adozione di interventi nell’ambiente in cui il malato vive assume un’importanza terapeutica fondamentale con malattie, come la demenza appunto, caratterizzate da disabilità progressivamente crescenti. L’ambiente può infatti compensare o accentuare le conseguenze di un deficit cognitivo; lo spazio e l’ambiente possono rappresentare, per la persona malata, da un lato una risorsa terapeutica, dall’altro il motivo scatenante di alterazioni comportamentali apparentemente ingiustificate.

    Da qui l’importanza di creare in casa un ambiente “ideale” sia per la persona malata che per tutta la famiglia che vi ruota attorno.
    Ma come? 

    Lasciandosi guidare nelle scelte da questi tre obiettivi: 
    1. garantire la sicurezza del malato; 
    2. compensare le sue disabilità; 
    3. evitargli stimoli stressanti e/o ridondanti TV o radio perennemente accese); 

    Esistono poi una serie di consigli pratici da seguire per poter risistemare e mettere in sicurezza l’ambiente quotidiano, eccone alcuni:
    • Semplificare la disposizione degli oggetti negli ambienti.
    • Evitare o ridurre al minimo i cambiamenti (cambiare disposizione ai mobili o ai quadri può comportare problemi di orientamento; lo spostamento del letto può favorire la comparsa di incontinenza perché il malato non riesce più a trovare la via per il bagno).
    • Fornire al malato indicazioni per orientarsi nelle varie stanze; la sua fotografia (di quando era giovane) collocata sulla porta di ingresso della stanza può diminuire la confusione, almeno nelle fasi moderate della malattia.
    • Fare in modo che le stanze siano ben illuminate ed evitare la presenza di rumori o suoni disturbanti.
    • Eliminare tutte le fonti di pericolo.

    Una particolare attenzione va data ai colori delle pareti, dei pavimenti e degli oggetti, che dovrebbero essere ben contrastanti; se utilizzo piatti da portata bianchi su una tovaglia bianca e magari, quel giorno, servo del morbido stracchino al mio caro, è molto probabile che il cibo verrà rifiutato o, comunque, non preso in considerazione.
     
    E questo non a causa di un'alterazione nelle preferenze del paziente verso quel particolare cibo ma semplicemente perchè la pietanza non può essere vista, essendo dello stesso colore delle stoviglie e della tovaglia. Probabilmente, tutt'altra accoglienza avrebbe una generosa porzione di stracchino posizionata al centro di un piatto in cercamica  rosso, appoggiato su di una tovaglia a quadrettoni bianchi e blu.
     
    L’impiego dei colori consente anche di compensare i problemi di comprensione: se le piastrelle del bagno sono blu, si possono utilizzare delle luci notturne della stessa tonalità che indirizzino il paziente lungo il percorso fino al bagno; può essere utile contrassegnare le cose d’uso quotidiano del paziente con il suo colore preferito e ricordargli che tutti i suoi oggetti (spazzolino, asciugamani ecc.) sono di quel colore.

    Si tratta di semplici accorgimenti che possono evitare lo scatenarsi di crisi comportamentali di difficile risoluzione, permettendo alla persona malata e ai suoi familiari di sentirsi sicuri e sostenuti dall’ambiente circostante.

    Ma l’intervento sull’ambiente non finisce certo qui; infatti con un’adeguata formazione pratico-teorica, è possibile per lo psicologo trasformarsi in “consulente ambientale” lavorando fianco a fianco con gli altri professionisti del benessere fisico e mentale al fine di “protesizzare” il più possibile l’ambiente in cui il malato vive, che sia esso lo spazio privato della propria abitazione oppure lo spazio più “pubblico” del salone di una struttura residenziale, o il giardino in cui camminare senza rischi inutili per la salute, oppure la sala delle attività comuni, o la biblioteca, o, ancora, lo spazio destinato a ciascuno in una camera da letto da condividere con altre persone.

    Lavorare con una persona affetta da demenza e rielaborare con lei e per lei l’ambiente in cui vive assieme ai propri cari significa comprendere, in primis, la necessità per ciascun componente della famiglia di potersi appropriare o riappropriare, in sicurezza, dei propri spazi, per evitare di vivere una vita da reclusi, prima che giunga (se giungerà) il momento del trasloco in una struttura.


    BIBLIOGRAFIA
    AA.VV. La malattia di Alzheimer: una guida per le famiglie
    http://www.alzheimer-onlus.org/documenti/File/guida-alzheimer-webX.pdf
     
     
     
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