Articolo di Carlo Perrotta pubblicato il 17.05.2005 su www.altrapsicologia.it
Sul sito dell’Associazione Italiana Dottorandi (ADI) campeggia una nota citazione dalla Divina Commedia, che in maniera egregia (ed inquietante…) sintetizza lo stato attuale del tipico giovane ricercatore in Italia:
“Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi, però che gente di molto valore conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi” (D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno Canto IV).
La condizione della ricerca in Italia è da tempo oggetto di accese polemiche, e l’espressione “cervelli in fuga”, usata per indicare la diaspora dei nostri “scienziati” presso terre più o meno promesse, è così spesso invocata da aver ormai assunto valenza da luogo comune, a volte addirittura rintracciabile negli accorati sermoni di molti personaggi politici (“Occorre far rientrare i cervelli in fuga!”). Al di là della triste metafora di un paese drasticamente lobotomizzato, non è tuttavia luogo comune che i ricercatori in Italia non abbiano assolutamente nulla da invidiare rispetto ai colleghi stranieri in quanto a preparazione e talento e che, a fronte di investimenti dimezzati e prospettive di carriera “bibliche” (nel senso dei tempi, ovviamente), riescano a mantenere un numero di pubblicazioni autorevoli nella media europea, e in alcuni casi addirittura superiore. Come è stato notato in altre sedi (Ballerini e Piazza, 2002) il problema della ricerca nel nostro paese ha a che fare più con la quantità, che con la qualità.
Si è detto molto sul generale penoso problema della ricerca nostrana, e alcune rilevanti iniziative sono state prese, valga per tutte la recente petizione firmata da più di 11.000 ricercatori inclusi eminenti personaggi come Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco, Dario Fo, Arthur C. Clarke. Tuttavia, quando si parla di ricerca il dibattito appare fortemente confuso e semplificato: l’immaginario collettivo italiano si affolla di occhialuti figuri in camice bianco alle prese con provette, circuiti, macchinari costosissimi e via dicendo. Difficilmente troverete in giro informazioni o commenti riguardo “altre” modalità di far ricerca, altrettanto importanti per lo sviluppo di un paese civile ma di cui in alcuni casi si ignora addirittura l’esistenza: parlo della ricerca sociale, delle scienze umane e in particolare (rullo di tamburi…) della psicologia. Con questo non si vuol assolutamente alludere al fatto che sociologi e psicologi non indossino occhiali o camici bianchi (sono sicuro che molti, in particolare i secondi, lo fanno e ne vanno anche legittimamente fieri), quanto piuttosto al fatto che il tipo di ricerca da loro condotta può tranquillamente essere definita cenerentola tra le cenerentole.
Un po’ di numeri. Per motivi personali mi torna comodo fare un superficiale confronto tra la realtà Italiana e quella Anglosassone, dato che per omettibili ragioni mi sono ritrovato a fare un dottorato di ricerca in psicologia in Inghilterra.
Nel Regno Unito la ricerca sociale (nella quale è esplicitamente inclusa anche la psicologia) viene finanziata da un organo autonomo chiamato ESRC (Economic and Social Research Council). Nel rapporto del 2003, scaricabile da Internet, è possibile trovare tutti i dati rilevanti in merito a fondi stanziati, indicatori di performance etc.
L’ESRC dispone di un budget annuo di 68 milioni di sterline (approssimativamente 100 milioni di euro), utilizzati per finanziare centri di ricerca, programmi inter-universitari, borse di studio e risorse in genere.
L’ente finanzia 700 nuovi dottorati ogni anno nell’area della ricerca sociale, di questi un centinaio sono in collaborazione con altri sponsors pubblici e privati. Durante il periodo considerato (2003) l’ente ha assegnato 103 borse di studio per avviare post-laureati alla ricerca psicologica, più del doppio rispetto alle altre scienze sociali, al secondo posto segue economia con 60 borse di studio. Tutto questo avviene in base a criteri di pura competizione (merito), e come complemento alla ricerca condotta in maniera indipendente dalle singole università, le quali dispongono a loro volta di fondi, ampliamente pubblicizzati, per finanziare dottorati e post-laureati in genere.
In Italia la ricerca sociale non dispone di un’istituzione similare; il CNR, pur avendo come forse molti sanno un’impostazione prevalentemente tecnico-scientifica, coordina un certo numero di istituti affiliati (18), categorizzati sotto la definizione “Scienze Umane e Sociali”, di questi nessuno ha a che fare con la psicologia. Nel 2002 il CNR ha bandito 278 borse di studio (nel 2001 il numero are 370, nel 2000 era 571), di cui 69 nella categoria sopra menzionata. I fondi complessivi stanziati per tali istituti nel 2002 ammontavano a € 6.821.000. Nelle facoltà italiane di psicologia ci sono attualmente 91 dottorati di ricerca (i dati provengono dall’università di Bologna, non è specificato l’anno, ma considerando la durata media di un dottorato è improbabile che il dato si riferisca al numero di dottorati attivati ogni anno).
I dati, seppur superficiali, delineano una situazione di pesante sottosviluppo, e le cose sembrano peggiorare di anno in anno.
Cosa a che fare tutto ciò con un progetto come “altrapsicologia”, il quale è impegnato nella nobile missione di rilanciare la malmessa categoria professionale degli psicologi in Italia? Beh, la risposta è: ha MOLTISSIMO a che fare, per la semplice ragione che il rilancio professionale della psicologia passa inesorabilmente per il rilancio della ricerca. Molto spesso mi è capitato di partecipare a discussioni in cui psicologi si lamentavano della scarsa, a volte nulla, autorevolezza riconosciuta alle pratiche psicologiche nei contesti aziendali, istituzionali, sanitari nei quali la parola “psicologo” è pronunciata di solito con fantozziana inflessione.
Il punto è: come è possibile aspettarsi un adeguato riconoscimento di pratiche e teorie se queste non vengono supportate e pubblicizzate utilizzando gli strumenti, accademici e non, della verifica metodologica, del confronto interdisciplinare, in una parola sola, della ricerca empirica? Come è possibile incentivare un cambiamento nella cultura dominante in Italia che pone uno psicologo un gradino più in basso rispetto un PNL Practitioner, quando, durante un seminario alla facoltà di psicologia a Roma, mi è capitato personalmente di udire le seguenti parole pronunciate da un giovane docente: “L’astrologia? Beh, io personalmente ce credo”.
Al di là dei luoghi comuni e delle legittime richieste di garanzia istituzionale, c’è anche e soprattutto la qualità della formazione psicologica in Italia la quale, a mio avviso più che in altre discipline, sta perdendo completamente contatto con il mondo della ricerca, l’unico in grado di garantire autorevolezza teorica e solidi strumenti metodologici in una realtà dai contorni estremamente sfumati. L’invasione da parte di concetti e tecniche dalle dubbie origini nel campo della psicologia non può essere arginata con il ricorso a draconiane misure disciplinari da parte dell’ordine o di altre istituzioni competenti, se gli psicologi per primi ignorano le ragioni metodologiche e teoriche per cui tali concetti e tecniche dovrebbero essere respinti. Allo stesso tempo c’è il problema speculare di strumenti e teorie obsoleti, di approcci innovativi ignorati o non sufficientemente verificati secondo i canonici criteri metodologici. Il bisogno di rinnovo della psicologia è avvertito da molti, ma non può trovare soddisfazione se non in un contesto di ricerca adeguatamente supportato, pubblicizzato e finanziato.
Il rilancio della professione psicologica è dunque, innanzitutto, rilancio della disciplina in sé, del suo ruolo euristico ed empirico e del contributo che essa è in grado di dare alla società. La professione psicologica in Italia ha bisogno di riscoprire il ruolo che la ricerca ha avuto nel definire le fondamenta stesse della disciplina, conferendole l’autorevolezza e il rigore che non è possibile trovare in altri approcci, i quali aspirano ad insediarsi nei settori operativi propri della psicologia, pur non avendone il diritto.
I dati riportati provengono dai seguenti siti:
- http://www.dottorato.it
- http://www.esrc.ac.uk
- http://www.cnr.it
- http://www.psibo.unibo.it/psicoita.htm
- e da: Ballerini, L. Piazza E. The future of Italian doctors. Paper presented at Eurodoc 2002, European Conference of Doctoral Students. http://www.eurodoc.net/, Girona, Spain, January 31st – February 3rd 2002.
Articolo di Carlo Perrotta pubblicato il 17.05.2005 su www.altrapsicologia.it