D. – Questa intervista rientra in un progetto interdisciplinare tra psicologia e fisica, volto a intervenire sugli atteggiamenti, i valori, gli stili di vita, per modificare i comportamenti delle persone in senso ecologico.
Secondo lei può essere utile agire sugli atteggiamenti e le credenze delle persone per modificare i loro comportamenti nei confronti dell’ambiente naturale?
Si, ritengo che sia fondamentale un approccio interdisciplinare al problema ambientale. Soprattutto credo che la psicologia e la filosofia potrebbero offrire un contributo fondamentale per la prevenzione dei cambiamenti climatici, ma fino a oggi, purtroppo, noto che la fisica e le scienze umane non si parlano ancora abbastanza.
D. – Gli scienziati ci stanno dicendo da anni che il clima si sta modificando in maniera preoccupante. Esiste un allarme clima?
Si, esiste un allarme clima e non possiamo permetterci di sottovalutarlo.
D. – Ci sono dei segnali di cambiamento del clima che ognuno di noi può osservare nella sua vita quotidiana?
Oggi questi cambiamenti visibili a occhio nudo sono ancora pochi, per fortuna. Però già chi vive al mare può aver notato nuove specie di pesci tropicali, chi vive in montagna può osservare i ghiacciai che si riducono. Ma io non condivido molto questo interesse a trovare dei cambiamenti nel clima facilmente visibili. Non è importante vedere con gli occhi quello che succede, è importante evitare che questi cambiamenti avvengano, perché già allora sarà troppo tardi. Il problema è che noi siamo abituati a ragionare in modo lineare, secondo una relazione causa-effetto, mentre il sistema climatico non è un sistema lineare, ma funziona, piuttosto, potremmo dire, come un sistema a molla: uno carica carica e non succede niente, ma a un certo punto, quando la molla è caricata fino in fondo il meccanismo scatta tutto insieme.
Quindi, anche se adesso non vediamo molti cambiamenti climatici, quello che succederà, se non cambiamo rotta, è, come si vede anche nel film The Day After Tomorrow, che il sistema climatico si risveglierà con cambiamenti drastici visibili nell’arco di una vita umana.
D. – Secondo lei perché è così diffusa la tendenza a sottovalutare questi rischi e a definire catastrofisti gli scienziati che parlano di allarme clima?
Penso sempre che queste persone fanno un po’ come i fumatori: uno gli dice che il fumo a lungo andare fa male, glielo scrive anche sul pacchetto di sigarette che se fuma può morire, ma il fumatore continua a fumare, forse pensando che quegli avvisi sono esagerati, forse rimuovendo la paura, e poi un giorno si ritrova in ospedale e pensa: “ah se non avessi fumato tutte quelle sigarette e avessi ascoltato chi mi metteva in guardia dai pericoli del fumo”.
Ma per quanto riguarda il fumo non tutti rispondono allo stesso modo, ci sono anche persone che non subiscono questi gravi danni, anche se fumano, mentre per il clima è diverso, i cambiamenti climatici riguardano tutti, le catastrofi ambientali non lasciano fuori nessuno.
D. – Di fronte allo scenario di cambiamenti climatici allarmanti l’Italia sta adottando delle politiche pubbliche e private che le sembrano adeguate?
E’ appena entrato in vigore il protocollo di Kyoto, cui l’Italia ha aderito, e questo è un passo importante. Ma resta grave il fatto che non si fa nulla per divulgare la conoscenza di questo accordo e incoraggiare nuovi stili di vita più rispettosi dell’ambiente. La pubblicità continua a incoraggiare la corsa ai consumi e l’informazione scientifica continua a essere inadeguata.
D. – In un suo scritto lei cita il libro “Bioeconomia” del matematico ed economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen. Qual è la visione del mondo proposta da Georgescu-Roegen?
Nessuno di noi si sognerebbe di utilizzare per la prima volta il forno a microonde senza leggere prima il libretto delle istruzioni. Ecco credo che dovremmo poter utilizzare una sorta di libretto delle istruzioni del pianeta terra. Nicholas Georgescu-Roegen ha scritto questo libretto d’istruzioni. Il punto fondamentale della sua visione del mondo è che dobbiamo ritrovare una maggiore sobrietà nei consumi, perché il nostro stile di vita è incompatibile con il rinnovamento delle risorse naturali. Se ho cinque macchine, ma mi alzo all’alba per andare a lavoro, trascorro due ore in coda, lavoro in un ufficio con persone che non mi stanno simpatiche, ceno a casa con una persona cui non ho nulla da dire, sono soffocato dagli impegni, forse è il caso che comincio a pensare che è meglio avere una sola macchina ma farsi una pizza con gli amici…. E poi dobbiamo imparare a riparare invece che a sostituire.
D. – Ci può illustrare brevemente il “programma bioeconomico minimale” proposto da Georgescu-Roegen?
Il programma bioeconomico minimale propone la proibizione dei mezzi bellici, che consumano immense quantità di energia, peraltro con finalità di distruzione, l’utilizzo delle risorse liberate dalle attività militari per consentire alle nazioni in via di sviluppo un tenore di vita buono ma non lussuoso, la riduzione della popolazione mondiale e un livello sostenibile dalla produzione agricola naturale, ovvero non alimentata da energia fossile, la rigida regolamentazione nell’uso delle energie di origine fossile, soprattutto attraverso l’abbattimento degli sprechi, in attesa di progressi nell’uso più efficiente dell’energia solare, la “cura” della nostra passione morbosa per i congegni stravaganti, splendidamente illustrata da un oggetto contraddittorio come l’automobilina per il golf, e per automobili che non entrano nel garage.
Acquistare una macchina nuova ogni anno e arredare la casa ogni due è un crimine bioeconomico. Se i consumatori disprezzassero la moda i produttori si concentrerebbero sulla qualità e la durevolezza dei prodotti.
D. – Questo programma richiama l’attenzione tra l’altro sul problema demografico? In che modo l’aumento della popolazione mondiale può produrre tragici cambiamenti climatici?
L’aumento della popolazione terrestre, ma soprattutto l’aumento di persone che aspirano al nostro stile di vita, pensi alla Cina, all’India e alla loro rapida ascesa verso un modello di società dei consumi, possono produrre danni enormi sul sistema climatico. Se ci spaventano i danni ambientali che siamo riusciti a fare in meno di cento anni, pensiamo a quel che può succedere se altri miliardi di persone assumono il nostro stile di vita e moltiplicano lo spreco delle risorse…
D. – In che modo ognuno di noi potrebbe modificare le proprie abitudini e il proprio stile di vita per contribuire alla realizzazione di questo “programma bioeconomico minimale”?
Bisogna riappropriarsi del concetto di limite. L’energia facile ci ha dato fino a oggi un senso di onnipotenza dal punto di vista fisico. La sensazione di non poter controllare i cambiamenti climatici porta a sottovalutare i rischi e a dire che si esagera, ma anche provoca atteggiamenti contrari addirittura dannosi per l’ambiente. Occorre ricreare una filosofia di vita diversa: la crescita economica continua porta a lungo termine all’abisso della crisi. Dobbiamo riconquistare una sensibilità personale.
Viviamo in un mondo difficile per le condizioni fisiche. Se vogliamo vivere in armonia con il sistema ambientale dobbiamo comprendere che quello che abbiamo seguito fino a oggi non è l’unico modo possibile di vivere, ma che c’è la possibilità di individuare percorsi diversi.
D. – Che cosa pensa del film The Day After tomorrow?
Il messaggio scientifico del film è sostanzialmente corretto, anche se, per ottenere l’effetto cinematografico i cambiamenti sono stati resi più rapidi rispetto alle possibili previsioni. Credo che questi film possano essere utili soltanto se poi non si abbandonano le persone con un prodotto di questo genere, ma si forniscono, anche per altri canali, delle spiegazioni scientifiche chiare.
D. – Nell’assenza di queste spiegazioni vede una responsabilità dei media nel contribuire a creare uno stile di vita anti-ecologico?
Sì, la pubblicità in questi anni è quasi demoniaca, ci dice che siamo inadeguati e propone modelli di vita che esaltano l’assenza di limiti. Si cerca il simbolo per affermare la propria personalità. Negli ultimi anni vengono molto pubblicizzati, ad esempio, questi grossi fuoristrada di lusso che sono l’emblema non solo di un inutile spreco di risorse energetiche, considerato che consumano circa il doppio di un’utilitaria, ma anche di un atteggiamento arrogante e aggressivo verso l’ambiente e verso gli altri.
D. – Però, allora, se è vero che dietro la corsa al consumo c’è una ricerca di identità, anche comportamenti ecologici potrebbero soddisfare questa ricerca di identità, se resi condivisibili e spendibili socialmente. I mezzi di comunicazione potrebbero, in qualche modo, favorire l’assunzione da parte delle persone di una maggiore responsabilità nei confronti dell’ambiente?
Sicuramente se i mezzi di comunicazione informassero in maniera più adeguata sulle recenti conoscenze scientifiche e proponessero stili di vita ecologici contribuirebbero a ridisegnare un’identità ecologica.
D. – Una collaborazione tra scienze naturali e scienze umane sarebbe proficua per scongiurare le previsioni scientifiche sui cambiamenti climatici di cui abbiamo parlato?
Credo che una tale collaborazione sia indispensabile, per poter arrivare a produrre cambiamenti nei valori e negli stili di vita, alla base di una seria tutela ambientale. E ci tengo a sottolineare questa mia convinzione sull’urgenza di un incontro tra fisica, psicologia e filosofia per ridisegnare il nostro rapporto con l’ambiente.
Luca Mecarelli – Nato a Torino nel 1966. Climatologo, dedica la sua attività di ricerca
allo studio del clima e dei ghiacciai delle Alpi occidentali.
Presidente della Società Meteorologica Italiana, ha fondato e dirige
dal 1993 la rivista di meteorologia Nimbus, collabora dal 1991 con il
quotidiano La Repubblica e con varie riviste (Alp, L’Alpe, Rivista
della Montagna). Nel 2004 ha pubblicato per Vivalda CDA I tempi sono
maturi – squarci di sereno tra le nebbie dei luoghi comuni e dei
pregiudizi atmosferici e di recente, insieme a Chiara Sasso Le mucche
non mangiano cemento. Collabora con Che tempo che fa, la trasmissione
sulla meteorologia in onda su Rai 3.
Intervista a cura di Carmen Pernicola, Psicologa – cpernicola@aliceposta.it
Responsabile Società di Psicologia dei diritti e della responsabilità sociale