Alla base di qualsiasi buon counseling psicologico dovrebbe esserci, da parte dello psicologo, uno stato e una condizione fondamentale per poter instaurare un incontro soddisfacente con il proprio cliente: la sospensione del giudizio condizione centrale quando si parla di dipendenze.
Questo tipo di condizione né si acquista magicamente né risulta essere il semplice frutto di un esercizio cognitivo da parte dello psicologo.
Dietro la sospensione del giudizio nei confronti del cliente, c’è un lavoro di comprensione di sé, dei propri limiti e delle proprie emozioni da parte del professionista.
Dietro la sospensione del giudizio nei confronti del cliente, c’è un lavoro di comprensione di sé, dei propri limiti e delle proprie emozioni da parte del professionista.
È il risultato di un accettazione incondizionata nei confronti del cliente, basilare per produrre in lui quell’esperienza emozionale positiva che è fondamentale per il suo futuro impegno all’interno del percorso clinico.
In particolare il gioco d'azzardo, in quanto area delle dipendenze, forse più di molte altre, è condizionata da numerosi giudizi, pregiudizi e stigmi sociali.
Questa serie di preconcetti influenzano a livello più o meno consapevole, sia lo psicologo che il cliente stesso, ancora prima di entrare in contatto con il primo colloquio.
Da una parte il professionista con i suoi pregiudizi nei confronti di un fenomeno dibattuto a livello mediatico e con una sua rappresentazione della persona; dall’altra il cliente che, attraverso la fantasia relazionale prevalente rispetto allo psicologo, probabilmente darà per scontato l’essere giudicato per il suo comportamento, in quanto è quello che, in genere, gli accade nella vita.
E’ chiaro dunque che la sospensione del giudizio diventa fondamentale per evitare che si crei una distanza relazionale tra gli attori in gioco nel percorso clinico.
Lo psicologo, dunque, ha il dovere di interrogarsi sui propri pregiudizi e sulle proprie aspettative nei confronti del giocatore d’azzardo. Tutto questo non vuol dire negare, allontanare o ignorare i propri preconcetti e le proprie sensazioni nei confronti di questo fenomeno; vuol dire, invece, accoglierle, comprenderle per poi trasformale in un'accoglienza emotiva utile per il nostro cliente.
Altro punto focale per determinare una buona impostazione del percorso clinico con il giocatore d’azzardo è la formulazione degli obiettivi centrati sul cliente.
Il rischio, quando si lavora con i giocatori d’azzardo, è quello di cadere in una trappola formata dal legame tra aspettative, ricadute e risultati legati all’astinenza, rispetto al comportamento problematico.
In parole semplici la possibilità che psicologo e cliente si irrigidiscano su posizioni come “Se il cliente smette di giocare sono un bravo psicologo, altrimenti no” o “Se lo psicologo mi fa smettere di giocare va bene, altrimenti no”.
Una buona formulazione iniziale degli obiettivi (che ricordiamo devono essere positivi, specificati, verificabili e perseguibili direttamente) può scongiurare l’evolversi del percorso clinico verso queste due posizioni rigide.
Lo psicologo, dunque, dovrebbe riuscire a stabilire insieme al giocatore degli obiettivi basati sulla specifica condizione problematica che viene riportata, che siano attrattivi e realizzabili per la persona che ci richiede aiuto.
Fermo restando che l’astinenza da un comportamento problematico è un risultato che si può raggiungere attraverso piccoli step e spesso rappresenta un obiettivo che sorge in corso d’opera, quando il cliente si sente più vicino a questo tipo di traguardo.
Il Dr. Luca Notarianni è docente nel webinar: "Gioco d'azzardo: strumenti e tecniche dell'intervento psicologico". Leggi di più >
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