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    Legge 194/1978 e pillola RU486

    I dati relativi al 2007, con un totale di 127.038 interruzioni volontarie di gravidanza (IVG), evidenziano un ulteriore calo del 3% rispetto al dato definitivo del 2006 (131.018 casi) e un decremento del 45,9% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all'IVG (234.801 casi). Il tasso di abortività (numero delle IVG per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni), l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all'IVG, nel 2007 è risultato pari a 9,1 per 1.000, con una diminuzione del 3,1 rispetto al 2006 (9,4 per 1.000) e del 47,1% rispetto al 1982 (17,2 per 1.000).

    Continua la diminuzione delle IVG tra le donne italiane: i dati definitivi relativi all'anno 2006 evidenziano infatti 90.587 IVG, con una riduzione del 3,7% rispetto al 2005 e di oltre il 60% rispetto al 1982, anno in cui più numerose sono state le IVG. Viceversa, le IVG sono incrementate tra le donne straniere: in totale 40.431 nel 2006 (+4,5% rispetto al 2005), pari al 31,6% del totale (nel 2005 erano il 29,6%).

    Il medico ha un ruolo importante nell'informare le donne, che si rivolgono a lui, preventivamente sui metodi contraccettivi ed in caso di gravidanza indesiderata sulle procedure legali di interruzione volontaria previste dalla legge n. 194/1978.

    La legge n. 194 del 22 maggio 1978 (GU n. 140 del 22/05/1978) ha stabilito le norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza, affermando i principi che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione responsabile e cosciente, riconosce il valore sociale della maternità, tutela la vita umana dal suo inizio e non considera l'interruzione volontaria di gravidanza un mezzo per il controllo delle nascite.

    La somministrazione su prescrizione medica dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori, nelle strutture sanitarie e nei consultori.

    Per l'interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni, la donna che si trovi in circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche o sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico o ad una struttura socio-sanitaria abilitata o ad un medico di sua fiducia.

    Di fronte alla richiesta della donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro i primi 90 giorni per motivi psichici, fisici, economici, sociali o familiari, il medico compie gli accertamenti sanitari necessari, valuta le circostanze che hanno indotto alla richiesta di IVG, informa la donna sui suoi diritti, sulle procedure e sulle strutture di riferimento a cui può accedere. Infine il medico rilascia un certificato all'assistita (art. 5), firmato anche dalla richiedente, attestante lo stato e l'epoca di gravidanza, l'avvenuta richiesta di IVG e la invita ad una pausa di riflessione di sette giorni in merito alla sua decisione, salvo casi d'urgenza da attestare nello stesso certificato.

    Trascorsi i sette giorni (salvo i casi d'urgenza), la donna può presentarsi con il certificato medico presso una delle strutture sanitarie autorizzate ai sensi dell'art. 20 della legge n. 132 del 12/2/1968 per praticare l'interruzione volontaria della gravidanza.

    Salvo i casi di urgenza in cui il medico può rilasciare il certificato senza altre formalità anche a persona minorenne, se una minorenne adduce seri motivi per non informare le persone che esercitano su di lei la potestà o tutela, il medico invia una relazione corredata del proprio parere al Giudice Tutelare presso il Tribunale locale, che entro cinque giorni autorizza l'intervento.

    In assenza di urgenza e di seri motivi controindicanti, se la donna ha meno di 18 anni è richiesto l'assenso di chi esercita la potestà o la tutela sulla donna stessa. Se la donna è interdetta è necessario sentire il parere del tutore e trasmettere entro sette giorni dalla richiesta di IVG una relazione al Giudice Tutelare, che decide entro cinque giorni dal ricevimento della stessa. Il certificato costituisce titolo per ottenere l'intervento di interruzione o, se necessario, il ricovero ospedaliero.

    L'interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi tre mesi può essere praticata solo in caso di grave pericolo di vita per la donna o di grave pericolo di salute per la donna o di gravi malformazioni del nascituro, accertati direttamente dallo specialista ginecologo ospedaliero, il quale solamente può praticare l'interruzione volontaria di gravidanza, previa verifica dell'inesistenza di controindicazioni sanitarie.

    Il personale sanitario non è tenuto a prender parte alle procedure di certificazione e di pratica dell'interruzione volontaria di gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, salvo quando il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo di vita. Sono invece tenuti in ogni caso ad assicurare l'interruzione volontaria di gravidanza gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate (queste ultime non possono superare il tetto del 25% del totale degli interventi chirurgici praticati nell'anno precedente).

    L'interruzione volontaria di gravidanza può essere praticata con il tradizionale metodo chirurgico per aspirazione, oppure con il metodo farmacologico, mediante l'uso sequenziale di mifepristone (RU486) e misoprostol. Il mifepristone (RU486) è uno steroide sintetico (emivita 18-20 ore), in grado di bloccare l'azione del progesterone che mantiene la gravidanza e di conseguenza inibisce lo sviluppo embrionale e determina un distacco della mucosa endometriale simile a quello che avviene durante la mestruazione.

    L'effetto del mifepristone (RU486) viene aumentato dalla successiva somministrazione di prostaglandine che determinano contrazioni uterine, favorenti l'espulsione dell'embrione e dell'endometrio distaccatosi. Le prostaglandine sono risultate meglio tollerate per via vaginale rispetto alla via orale, gravata da maggiori effetti collaterali quali nausea e diarrea. Delle due prostaglandine disponibili, misoprostol e gemeprost, la prima è risultata più efficace.

    Una revisione sistematica di 39 studi clinici randomizzati, che ha valutato regimi diversi di trattamento farmacologico dell'aborto, ha dimostrato che la somministrazione orale di una singola dose di 200 mg di mifepristone (RU486), seguita dopo 36-48 ore da una singola dose di 800 mg di misoprostol per via vaginale risulta efficace e sicura nell'indurre l'aborto farmacologico entro le otto-nove settimane di gravidanza.

    Il confronto tra le due opzioni per l'induzione dell'aborto nella stessa epoca gestazionale non mostra differenze significative di rischio nei paesi dove il mifepristone (RU486) è già in uso, ma evidenzia la tendenza ad ottenere l'aborto in epoche gestazionali più precoci.

    Il confronto tra la metodica chirurgica e quella farmacologia riguardo gli effetti collaterali ha rilevato che l'induzione dell'aborto con mifepristone (RU486) e misoprostol comporta un'aumentata durata dell'emorragia e più dolore, diarrea e vomito, ma su oltre 460.000 aborti farmacologici che si stima siano stati praticati negli USA, sono stati segnalati solo alcuni casi di setticemia fatale da Clostridium bordelli, senza febbre, attribuiti al ruolo del mefipristone (RU486) su cortisolo e citochine.

    Comunque nel 2007 la Food and Drug Administration (FDA), ha concluso l'analisi di questi casi affermando che i benefici del mifepristone (RU486) sono superiori ai potenziali rischi (www.fda.gov). Infatti il mifepristone (RU486) è stato inserito già nel 2006 dall' Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nell'elenco dei farmaci essenziali per la salute riproduttiva (www.who.int) ed il suo uso è stato approvato dalla FDA (www.fda.gov) per l'aborto farmacologico fino al 49° giorno (nove settimane) a partire dall'ultima mestruazione. L'eventuale impiego del mifepristone (RU486) in epoche gestazionali successive (dopo le nove settimane) comporta una riduzione di efficacia.

    L'aborto farmacologico è autorizzato e quindi praticabile in molteplici paesi, mentre in Italia per il mifepristone (RU486) l'approvazione di questa sua indicazione clinica è attualmente in itinere, intralciata da ostruzionismi "burocratici".

    In relazione alla prossima commercializzazione e quindi disponibilità del farmaco Ru486, comunque resta il fatto che la sua utilizzazione nel rispetto delle procedure previste dalle legge 194 (certificato medico, pausa di riflessione di sette giorni, sede ospedaliera per la somministrazione farmacologica) porrà dei problemi pratici di complessa risoluzione. Infatti il periodo ottimale di utilizzo della pillola Ru486 è entro le otto-nove settimane di gravidanza iniziale, per cui la possibilità di somministrazione si giocherà sempre -alle attuali condizioni- sul filo del tempo consentito.

    Gli ostruzionismi nei confronti della pillola RU486 nascondono il timore che l'aborto farmacologico renda inappropriato (e quindi uno spreco) che la donna si ricoveri in ospedale e quindi si teme la messa in discussione (ed eventuale modifica) della legge 194/1978 nella direzione dell'ampliamento della libertà di scelta -da parte della donna- del medico e del luogo di cura: sono infatti le acquisizioni tecniche ed in questo caso mediche che hanno l'intrinseca capacità di modificazione di equilibri, basati sulla farraginosa burocrazia e su pretese di controllo della sessualità di donne ed uomini.

    Fonte: http://www.agenziaradicale.com/

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