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    L’insonnia che uccide

    Avete mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarvi vero? E se da una sogno così non vi poteste più svegliare, come potreste distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà? All’apice della sua malattia Sandro (il nome è di fantasia), un veneto di 53 anni estremamente energico e molto colto, "viveva" la realtà dei sogni e li rappresentava fisicamente. Mentre dormiva si alzava, si fermava e dava il saluto militare. Quando i parenti lo svegliavano, raccontava di sognare che stava assistendo a un’incoronazione. Oppure scendeva dal letto, con le braccia tese verso il pavimento. Dove sei? Gli chiedevano. E lui rispondeva: «All’aeroporto con le mie valigie, sto partendo».
    Poteva sembrare normale sonnambulismo. Se non fosse che in quello stato Sandro sarebbe rimasto prigioniero 24 ore su 24. Fino a morirne nove mesi dopo l’esordio, era il 21 luglio del 1984, consumato da una malattia allora misteriosa che riduce progressivamente a zero le ore di sonno e ti ammazza per sfinimento. Insonnia fatale, l’aveva chiamata Ignazio Roiter, il medico endocrinologo che allo studio, anche avventuroso, della patologia e di una possibile terapia ha dedicato una parte consistente della vita. Una vicenda dalla eco internazionale, trattata dai media e oggetto anche di un libro negli Stati Uniti, che aveva finito col mettere in difficoltà i discendenti. Per questo non ne hanno voluto sapere più di parlarne in prima persona. Hanno affidato la loro causa a Roiter che si è convinto a tornare sull’argomento con il Corriere della Sera perché Telethon ha finanziato con 237 mila euro uno studio innovativo per prevenire la malattia. Lo studio potrebbe mettere la parola fine ai lutti della famiglia veneta dove per prima si è evidenziata la sindrome e delle altre 50 scoperte fino ad oggi in tutto il mondo, per un totale di 200 persone, in Francia, Germania, Inghilterra Austria, Giappone, Australia, Pakistan, Cina e Stati Uniti. In Italia, sono cinque.
    Incontriamo Ignazio Roiter all’ospedale di Oderzo, in provincia di Treviso, dove dirige il reparto di Medicina. Sua l’intuizione fondamentale che la mancanza di sonno fosse non il sintomo, ma la causa delle morti misteriose nella famiglia. Il vero spartiacque nella storia della sindrome, però, era stato appunto Sandro che aveva accettato di lasciarsi studiare dall’equipe di Elio Lugaresi direttore del Centro del sonno della Neurologia di Bologna. Grazie alle osservazioni sul decorso della malattia, all’esame istologico del cervello effettuato nel laboratorio di Neuropatologia di Cleveland da Pierluigi Gambetti, allievo di Lugaresi, e al coinvolgimento del Premio Nobel Stanley Prusiner, si è riusciti a identificarla come una patologia da prioni. Un’encefalopatia spongiforme. Insomma la stessa famiglia del morbo di Creutzfeld Jakob, del Kuru, della Gerstmann -Sträussler -Scheinker e della Bse, la mucca pazza. Insonnia fatale e familiare. Pochi anni prima, altre due sorelle di Sandro erano spirate nella stessa maniera tremenda e dolorosa. «Avevano delle turbe neurologiche assolutamente impressionanti — racconta —. Morivano dopo 10-12 mesi di esordio, con sintomi raccapriccianti, in uno stato di assoluto sfinimento fisico, psichico, magrissimi. Da un peso normale arrivavano a 40-45 chili e morivano dopo un febbrone». Così Roiter si era messo a caccia di altri casi per capire se la malattia fosse ereditaria. Un lavoro un po’ da Indiana Jones, spulciando di notte negli archivi parrocchiali, la fonte più sicura dal momento che molti documenti dei Comuni erano andati distrutti durante la Prima Guerra Mondiale. «In due o tre anni ho completato un albero genealogico che prendeva le mosse dal 1700 — prosegue Roiter —. Poi confrontavo queste notizie con le tradizioni orali, con gli anziani della famiglia. E ancora cartelle cliniche e testimoni oculari. Allora i manicomi erano particolarmente frequentati, perché questi malati venivano presi per pazzi e quindi internati. Devo dire che le descrizioni più precise le ho trovate proprio negli archivi psichiatrici».
    Descrizioni compatibili, quando non sovrapponibili, a quelle delle tre persone appena morte, che confermavano la possibile ereditarietà. Per capirne di più, Roiter nel 1979 aveva portato un pezzo di cervello della seconda sorella, recuperato a Padova in modo fortunoso, a Ginevra dal neuropatologo Erwin Wildi. Dopo due settimane, il responso. Il medico aveva visto che in una zona del talamo mancavano i neuroni. Lo aveva scritto e la diagnosi era giusta. «Il talamo è un grosso nucleo grigio, che ha delle funzioni soprattutto sensoriali, sul dolore — spiega Roiter —. Però sui rapporti del talamo con il sonno non si sapeva niente. Non si sapeva che era proprio la stazione centrale tra la veglia e il sonno. Lui l’ha descritto ma non l’ha collegato a tutto il disordine dei malati». Forti di questo indizio, dunque, i neurologi di Bologna e di Cleveland sono andati per così dire a colpo sicuro quando si è trattato di esaminare il cervello di Sandro. Dalla parte anteriore e dorso-mediale del talamo erano spariti i neuroni. Il 16 ottobre 1986, il lavoro di Lugaresi e Gambetti veniva pubblicato sul New England Journal of Medicine e l’insonnia fatale familiare entrava ufficialmente nel mondo della medicina. «Poco dopo la segnalazione, i neurologi dell’ospedale di Bordeaux si sono messi in contatto con Bologna. Hanno riconosciuto che forse qualche anno prima erano passate delle persone con questi disturbi. Hanno letteralmente disseppellito delle famiglie, facendo diagnosi post mortem di insonnia familiare fatale». È a questo punto che la vicenda di Sandro si intreccia con le ricerche sui prioni di Prusiner. «Il prione è una proteina che abbiamo tutti — spiega Roiter —. Una mutazione del genoma la trasforma in una proteina indistruttibile che si accumula nella cellula. Quando l’accumulo diventa critico il neurone si suicida. Quella piccola parte del talamo che è colpita ha un contingente di circa 300 mila neuroni, nulla in proporzione ai miliardi che ci sono nel cervello. Eppure sono quelli critici, perché sono i semafori che fanno passare o fermano gli impulsi esterni. Se mancano quei neuroni, il messaggio è sempre verde, per cui il cervello è inondato da un flusso continuo di stimoli come durante la veglia». Prusiner riconosce la malattia prionica anche per Sandro. Se la battaglia della diagnosi era stata vinta, restava però da trovare una terapia. Così è partita la corsa contro il tempo.
    L’insonnia fatale è una bomba a orologeria. Chi se la porta nel Dna vive sano fino a 45-55 anni. Una volta innescata, e questo succede nel 50% dei casi, conduce però alla morte in un arco di tempo che va da un minimo di 6 mesi a un massimo di due anni. La sperimentazione in corso con Telethon vuole prevenire l’innesco della bomba. Ma ci vorranno 10 anni per capire se funziona. E la famiglia? «Sono finalmente contenti. Perché sono stati considerati. Abbiamo dato loro questa possibilità. Basta che il gruppo regga questi anni perché si parte bene ma poi è come andare nella campagna di Russia arriva il freddo, i Cosacchi, c’è di tutto. Non è facile, però l’inizio è buono».
     
    Fonte: http://www.corriere.it/
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