Dall’ultimo report di «PatientView» un caloroso consiglio ai camici bianchi di tutto il mondo. Interpellate 2.500 associazioni di pazienti in 35 Paesi – Manca l’alleanza
I camici bianchi di mezzo mondo sono autorizzati a sprofondare nello sconforto: milioni e milioni di pazienti sono convinti che i medici “ostacolino” il loro accesso alle cure, costringendoli a “combattere con il sistema” per ottenere le risposte di cui necessitano. E a formulare il giudizio meno lusinghiero sui propri sanitari sono canadesi, tedeschi, italiani, neo zelandesi e britannici, convinti nel 60% dei casi che i medici debbano quanto meno raffinare le proprie capacità di dialogo con i propri assistiti. A disegnare l’identikit mondiale dello scontento nella relazione medico-paziente è un rapporto di 400 pagine appena pubblicato da «PatientView », organizzazione di ricerca indipendente britannica che lavora a stretto contatto con le organizzazioni dei pazienti e i gruppi attivi nel settore sanitario e sociale a livello mondiale.
Il Report in questione – intitolato «What do patient think of doctors?» – è stato realizzato analizzando le opinioni di circa 2.500 associazioni nazionali e internazionali di pazienti di oltre 35 Paesi tra cui figurano oltre 55 diverse aree specialistiche che vanno dalle malattie rare alle patologie croniche. Quesito centrale dell’indagine – realizzata nel novembre 2010 – che ne pensano i pazienti dei medici. O meglio: “come può essere migliorata la relazione medico paziente?”. Sotto la lente in particolare Australia, Canada; Europa orientale, Francia, Germania, Italia, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna, Svezia Regno Unito e Stati Uniti.
Tra le specialità sono rappresentate invece oncologia, patologie gastro-intestinali, cardiocircolatorio, salute mentale, sclerosi multipla, neurologia, Parkinson, malattie rare, respiratorie e reumatologiche. Frutto di una sorta di plebiscito che non conosce frontiere, il primo dato a esplodere con schiacciante evidenza è quello relativo alla mancanza d’ascolto da parte dei professionisti della salute: a eccezione dei pazienti dell’Europa orientale e di quelli affetti da Hiv-Aids, solo una minoranza delle associazioni consultate ritiene che i rapporti medico paziente siano ancora caratterizzati da un atteggiamento tradizionale e paternalistico. Allo stesso modo, però, solo una minoranza ritiene che i medici siano orientati a trattare i pazienti in modo paritario.
L’unica eccezione si riferisce agli specialisti come neurologi o geriatri impegnati nella gestione delle persone affette dal morbo di Parkinson: il 50% dei pazienti si sente considerato come partner dal proprio medico. Ma cosa si aspettano davvero i pazienti malati quando si rivolgono a un camice bianco? La risposta – che soprattutto di questi tempi deve far riflettere – è che il 72% desidera ricevere trattamenti che consentano al paziente di “condurre una vita normale o quasi” anche “mettendo a rischio l’aspettativa di vita dell’assistito”, come ha cura di specificare il 39% dei rispondenti. E quali interventi sarebbero necessari per migliorare il rapporto medico paziente? Tre le risposte più gettonate: migliorare la qualità di vita del paziente grazie alle cure praticate (19%), migliorare il livello di comunicazione (17%), migliorare la possibilità di accesso agli specialisti. Sul come si fa a migliorare la qualità di vita del paziente, le risposte variano ovviamente da Paese a Paese e in rapporto al tipo di specialità di riferimento, ma ben il 53% dei rispondenti si è trovato d’accordo nel sostenere che i professionisti del settore dovrebbero occuparsi dei pazienti senza costringerli a lottare con il sistema per diagnosi e terapia, mentre il 49% pensa che il medico dovrebbe fornire i trattamenti ritenuti più efficaci indipendentemente dal costo.
Il 45%, infine, vorrebbe che il medico mantenesse un rapporto continuo con il paziente sostenendolo anche nella gestione personale della malattia o nell’accesso a team specialistici multidisciplinari. Ma cosa devono fare i professionisti in camice per migliorare la propria capacità di comunicazione con gli assistiti? “Guardare al paziente come a una persona e non come a un problema sanitario”, risponde oltre metà del campione. Ma anche discutere a fondo tutte le opzioni terapeutiche con il paziente prima di avviare una cura (48%), fornire più informazioni sulla situazione sanitaria del paziente (46%), fornire più informazioni che aiutino il paziente a gestire la propria patologia (44%). A confermare che l’immagine di una alleanza terapeutica medico-paziente merita d’essere rinverdita sono anche le richieste indirizzate agli specialisti. Oltre il 50% dei pazienti chiede nell’ordine: di disporre di un tempo sufficiente per il consulto (62%); di poter contare su informazioni pubbliche chiare e tempestive in merito ai migliori specialisti disponibili per una determinata patologia (59%); di poter scegliere liberamente lo specialista a cui rivolgersi (42%); di poter contare sulla puntualità dei professionisti, evitando lunghe soste in sala d’attesa (50 per cento). Una terna di risposte gettonatissime anche per la scelta degli stakeholder potenzialmente capaci di migliorare il rapporto medico-paziente: al primo posto gli infermieri (65% di citazioni), seguiti dai Governi nazionali (62%) e locali (51 per cento). Sotto la lente, infine, anche il ruolo giocato dalle aziende farmaceutiche e dalle altre aziende del settore.
I più convinti nel sostenere che i produttori possono giocare un ruolo importante nel migliorare i rapporti medico-paziente sono gli spagnoli (58% di citazioni per le aziende farmaceutiche; 60% per le aziende di biomedicali); tassi decisamente inferiori in Italia (51% e 47 per cento). Il questionario ha comunque consentito di individuare una lista di circa 70 aziende che compiono azioni ritenute positive per la relazione indagata (perché “fanno ricerca”; “monitorizzano la performance dei prodotti”; “forniscono ai medici suggerimenti nell’ottica del paziente”; “aiutano i pazienti a rapportarsi con i sistemi sanitari” e così via). Italia: voglia di “voti” agli specialisti. Nel panorama descritto da «PatientView » la situazione italiana non risulta decisamente tra le più brillanti. Circa un quarto delle associazioni di pazienti interpellate (110 in tutto, a carattere internazionale, nazionale e locale, in rappresentanza di circa 1,2 milioni di pazienti) è convinto che il rapporto tra i pazienti e i professionisti del settore sanitario resti tradizionale e patriarcale. Ben il 77% dei rispondenti è convinto che l’accesso ai medici di famiglia e ai relativi servizi potrebbe essere migliorato, mentre ben l’84% reclama informazioni pubbliche comprensibili e facilmente disponibili in merito agli specialisti dotati di maggior perizia nell’attività professionale: il 44%, infine, vorrebbe avere maggior voce in capitolo nella scelta dello specialista a cui rivolgersi.
Analogamente a quanto già registrato nei risultati generali dello studio, i pazienti italiani ritengono che il rapporto medico-paziente migliorerebbe significativamente se il medico discutesse in modo esteso le opzioni terapeutiche con il paziente (72%), fornisse più informazioni sulla diagnosi (52%) e sul rapporto rischio-beneficio dei trattamenti (41 per cento). Ma la vera panacea sarebbe un medico tanto “schierato” da fornire informazioni sui diritti dei pazienti (57%) e da affiancarli in tutte le situazioni della vita quotidiana condizionate dalla malattia (53%), come ad esempio i problemi lavorativi. Convinti infine che anche il loro tempo sia denaro, oltre metà del campione di pazienti italiani interpellati gradirebbe maggiore attenzione da parte degli specialisti al fattore puntualità (52%) e preferirebbe veder rispettate le proprie esigenze (22%) piuttosto che quelle del camice con cui hanno appuntamento. Idee chiarissime, infine, sugli aspetti che possono fare la differenza in ambito professionale: il 37% dei gruppi pazienti italiani sostengono che i professionisti del settore sono più “affidabili” quando dedicano alla formazione continua un impegno superiore a quello previsto dalla legge, mentre il 20% segnala come “responsabili” i medici che accettano di verificare i possibili reclami da parte degli assistiti, senza porre ostacoli difensivisti in materia.
Viste le tante mancanze a che santo votarsi? Per l’84% delle associazioni di pazienti italiani il compito di migliorare il rapporto medico-paziente spetta ai governi locali, ma l’80% attribuisce un ruolo decisivo anche agli infermieri, il 65% cita in tal senso il governo nazionale, il 45% dice che anche i farmacisti possono fare la loro parte. Il 51% dei gruppi cita infine le aziende farmaceutiche e il 47% i produttori di elettromedicali. Tanti deus ex machina, insomma, per un problema solo: per curare davvero il medico deve prima imparare ad ascoltare
Fonte: http://www.aipsimed.org/
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