Gli avvenimenti cui talvolta siamo esposti (come incidenti, attacchi terroristici, catastrofi naturali o aggressioni) costituiscono un potenziale trauma da cui si potrebbero generare disturbi psichici.
Un evento è considerato traumatico laddove implichi un pericolo reale per la propria incolumità fisica o psichica, sebbene la percezione della minaccia possa variare da persona a persona.
La risposta più o meno patologica è connessa all’interazione tra fattori biologici, psicologici, sociali e interpersonali.
In seguito a tali circostanze uno dei problemi più frequenti è il PTSD (Disturbo Post-traumatico da Stress), che comporta sintomi molto variegati tra cui vissuti di paura ed ansia, tristezza, tendenza a rivivere il trauma attraverso flashback e incubi, iperattivazione dei livelli di vigilanza.
Per fronteggiare le emergenze è stato messo a punto un protocollo specifico, il CISM (Critical Incident Stress Management) che si occupa della prevenzione e del trattamento di esperienze traumatiche.
Il CISM è suddiviso in tre fasi:
- Fase pre-critica (interventi preventivi di formazione sulle reazioni traumatiche e psicoeducazione).
- Fase critica (primo soccorso psicologico, defusing e debriefing).
- Fase post-critica (consulenze di sostegno individuale o familiare, follows-up).
Il defusing è un procedimento rivolto agli operatori di soccorso, per facilitarli nell’espressione dei loro sentimenti in merito alle situazioni cui assistono.
Difatti non di rado si riscontra un effetto di traumatizzazione vicariante da non sottovalutare, soprattutto per quanto concerne le cosiddette professioni d’aiuto (medici, infermieri, volontari, forze dell’ordine, ecc.).
Generalmente è praticato con piccoli gruppi di 6/8 persone che, attraverso la condivisione verbale volontaria, riescono ad elaborare l’episodio.
I tempi di attuazione sono brevi, dai 20 ai 40 minuti, e gli interventi possono dispiegarsi in maniera continuativa, gestiti solitamente da psicologi. Anche l’apprendimento di tecniche di rilassamento come il training autogeno o la trance può rappresentare un ausilio per chi lavora in contesti di emergenza.
Il debriefing è una tecnica di colloquio suddivisa in fasi, con lo scopo di valutare sia gli aspetti emotivi che cognitivi insorti a causa di un forte stress. Può rivelarsi maggiormente efficace se preceduto da una fase preparatoria definita briefing.
Il colloquio, individuale o di gruppo, va calibrato in base alle circostanze e alle specifiche esigenze dell’utenza, tuttavia la modalità di conduzione proposta da Mitchell sembra essere quella più accreditata nell’ambito della psicologia dell’emergenza.
A differenza del defusing esso si protrae per 2-4 ore attraverso sette passaggi:
- Introduzione, in cui viene illustrato il debriefing con le sue finalità
- Discussione dei fatti, si ricostruiscono gli avvenimenti traumatici
- Discussione di pensieri/cognizioni, i partecipanti esternano le proprie riflessioni
- Discussione delle emozioni, gli individui confidano cosa hanno esperito durante l’evento. Questa spesso è la fase più delicata in quanto provoca un coinvolgimento notevole
- Discussione dei sintomi, qualora ce ne siano stati
- Informazione, si forniscono indicazioni su quel che è stato affrontato e si educa la persona a capire quando è necessario chiedere aiuto, avallando un’ottica preventiva
- Conclusione, si formula una restituzione di quanto accaduto
Oltre che nei contesti di emergenza, il debriefing può svolgersi nelle aziende, per esaminare gli esiti di una riunione importante, o nello sport, per gestire i vissuti legati sia alle vittorie che alle sconfitte.
Da ciò ne deriva che esso può assumere una connotazione preventiva, educativa od espressiva ed eventualmente può essere utile predisporre un follow-up.
Una delle criticità del CISM è che spesso esso si realizza in maniera incompleta, poiché il debriefing viene applicato isolatamente, vengono ridotte le fasi pre-critiche ed annullati i monitoraggi a medio/lungo termine, invalidando così il protocollo clinico che è stato predisposto per operare nella sua versione integrale.
Negli ultimi anni sono stati proposti interventi alternativi a quello di Mitchell, considerato troppo rigido e procedurale per affrontare processi psicologici fluidi e mutevoli.
E’ nato così il Process Debriefing di Dyregrov (1997) che presta maggiore attenzione alla dimensione gruppale mentre la Scuola di Val-de-Grace ha adottato un’impostazione psicodinamica volta alla semplificazione delle fasi originarie.
Entrambi questi approcci tentano di introdurre la flessibilità necessaria per adattarsi alle realtà dei soggetti coinvolti, onde evitare vincoli troppo restrittivi difficili da rispettare.
Infine, un’altra pratica diffusa nel trattamento di traumi particolarmente intrusivi è l'EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) che, mediante l’utilizzo dei movimenti oculari rapidi, attiva una comunicazione tra l’emisfero cerebrale destro e quello sinistro, permettendo l’integrazione degli elementi scioccanti rimasti separati in seguito all’evento stressante.
Il trauma, una volta processato in tutte le sue componenti, non viene dimenticato ma è percepito in maniera distaccata, come qualcosa di ininfluente nella prospettiva presente.
Per tali ragioni esso è stato impiegato soprattutto nei casi di PTSD, ottenendo buoni riscontri.
Bibliografia
Giannantonio M., 2003, (a cura di) “Psicotraumatologia e psicologia dell’emergenza”. Ecomid: Salerno.
Shapiro F., 2000 (a cura di), “EMDR: Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”. McGraw Hill: Milano.
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