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    Per i neonati l’ospedale diventa un calvario di dolori

    C’è stato un tempo in cui i medici negavano che il neonato potesse provare dolore: l’immaturità del sistema nervoso l’avrebbe tenuto al riparo del provare questa sensazione. Non erano gli sciagurati cerusici tartassati dall’ironia vendicatoria di Molière; perché ancora negli Anni 70 si registrava la normalità di interventi chirurgici sui più piccoli praticati senza anestesia: «Tanto non soffrono…». Non è più, per fortuna, la realtà di oggi, visto che è scientificamente ormai monumentalizzato che il dolore è possibile compagno dell’uomo a partire dalla 24ª settimana di vita intrauterina.

    Anzi più il bambino è piccolo più le sue reazioni al dolore aumentano e la ripetizione degli atti dolorosi ne accrescono l’intesità. Attenzione è una sensazione diversa, avvertono i medici: le cadute e gli urti, certo, lo fanno strillare, ma sono esperienze necessarie per apprendere, misurare i limiti del suo corpo e dell’ambiente, a dare una dimensione alle proprie possibilità. Invece il dolore della malattia e di una cura sono strappi che ne scombinano il fragile mondo. Siamo insomma nel territorio terribile del dolore assoluto, perché senza ragione. Il neonato ha paura e, più ha paura, più sente il male. Perché lui non può prevedere con l’esperienza cosa può derivare da un semplice medicamento come l’applicazione di un cerotto. Le sue reazioni variano a seconda dell’età, dello stato emotivo e delle esperienze precedenti, anche se il bambino non sa dire dove quando come e soprattutto quanto ha male. «Eppure ancora oggi molti medici hanno difficoltà ad ammettere questa realtà – spiega Daniel Annequin, presidente del comitato scientifico del “Centre national de ressources de lutte contre la douleur” – che impone di rimettere in discussione le pratiche mediche che sono poco compatibili con una rappresentazione idealistica del malato».

    Proprio il «Centre» si è calato per la prima volta nel grande spazio silenzioso del dolore infantile: con cinque mesi di indagine, in 13 centri per nati prematuri e cinque servizi di urgenza pediatrica. Accumulando un campione di 909 bambini, assistiti da 652 medici e infermieri. Sotto la direzione del dottor Ricardo Carbajal dell’ospedale pediatrico «Armand-Trousseau» di Parigi i ricercatori hanno scoperto che, nonostante i progressi, ancora il 40% dei piccoli pazienti ha subito atti medici che provocano dolore senza aver ricevuto misure preventive. La statistica con i suoi numeri grigi come sempre attenua il senso del reale. Che appare più chiaro, ad esempio, che 431 prematuri sono stati «vittime» di 30 mila 161 atti che hanno loro causato dolore. Tra i più frequeneti le aspirazioni nella trachea, i prelievi di sangue, le asportazioni cutanee con diversi cerotti, i prelievi vascolari periferici e l’introduzione di sonde gastriche. In media ogni bambino è passato attraverso l’odissea di 70 gesti con dolore, seppure per una parte attenuati da analgesici e sedativi.

    Proporzione che Carbajal giudica ancora insufficiente. Perché il dolore prevedibile, che deriva da una cura o da un esame clinico, ma anche dai gesti quotidiani come spostare o pulire il bambino, deve essere sistematicamente preso in considerazione per evitarlo. Come? Una crema anestetica o l’inalazione del Meopa sono utilizzabili. Ma, secondo il ministero della Sanità francese, dai tre mesi si può ricorrere alla morfina (0.2 miligrammi per chilo ogni quattro ore per via orale). Non costituisce un pericolo, perché i meccanismi di eliminazione sono attivi nel neonato e consentono di alleviare i dolori più intensi: quelli da interventi chirurgici, bruciature e fratture.

    C’è un’altra realtà che il rapporto cita con forza. Solo nel 5% dei casi i genitori erano a fianco del medico, mentre il piccolo provava dolore. E invece questa semplice presenza può rassicurarlo, distrarlo, incoraggiarlo, consolarlo. Eterno, immemorabile rimedio allo scandalo del dolore.

    Fonte: http://www.lastampa.it

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