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    Psicoanalisi relazionale contemporanea: rapporti internazionali, diffusione italiana e sfida formativa

    Per descrivere l’impatto che il movimento relazionale ha avuto sulla psicoanalisi e la psicoterapia dinamica in Italia ci sembra utile partire dalla nostra esperienza. Questo per due motivi principali.

    In primo luogo abbiamo la consapevolezza di parlare di avvenimenti che fanno parte di un fenomeno ancora in corso di svolgimento: qualcosa in una configurazione non cristallizzata, e quindi proprio per questo non inquadrabile nella “visione dall’alto” dello storico.
    La ricerca di un contatto con la contemporaneità della psicoanalisi ce ne ha fatto incontrare la “molteplicità” ed è forse questo che ha reso più interessante e stimolante il nostro percorso; che possiamo proporre solo come uno dei percorsi possibili.

    In secondo luogo, proprio perché ci riconosciamo in un approccio intersoggettivo e contestualista, non possiamo fare altro che proporre una visione che acquista una sua fisionomia in base a elementi contestuali e soggettivi.

    Fra l’altro ci siamo resi conto di seguire in tal modo una prospettiva proposta da Lewis Aron, che nel suo libro Menti che si incontrano (1996) dice:

    Il miglior modo in cui posso spiegare il significato e il senso della teoria relazionale nella psicoanalisi contemporanea è descrivere il significato personale che ha avuto e ha per me. Un approccio personale può comunicare al meglio alcune delle ragioni per le quali la prospettiva relazionale ha creato tanta eccitazione e tanto entusiasmo. […] Anche se la racconto come parte della storia locale di uno specifico istituto di New York questa è, nondimeno, anche la storia della diffusione della teoria relazionale negli Stati Uniti (1996, p. 3).

    Cercheremo quindi di raccontare la diffusione della psicologia del Sé e del modello relazionale in Italia partendo in gran parte dal microcosmo dell’Istituto che abbiamo fondato – Istituto di Specializzazione in Psicologia Psicoanalitica del Sé e Psicoanalisi Relazionale, ISIPSÉ – e nel quale abbiamo cercato di creare un contesto in grado di facilitare l’incontro con le teorie contemporanee e con gli psicoanalisti che hanno dato vita al movimento relazionale.

    Prima però ripercorreremo alcune delle tappe fondamentali che hanno determinato – anche in Italia – la presa di coscienza che nella psicoanalisi stava emergendo qualcosa di nuovo, qualcosa che somigliava più a una rivoluzione che a un’evoluzione.


    Le radici dell’interesse per la psicoanalisi relazionale in Italia

    Quando, nel 1986 – tre anni dopo la pubblicazione negli USA – uscì la traduzione italiana di Le relazioni oggettuali in psicoanalisi di Greenberg e Mitchell (1983), ci trovammo a fare i conti con una proposta scientifica che, per la prima volta, differenziava nettamente i modelli psicoanalitici pulsionali da quelli relazionali.

    L’eco italiana di questo libro fu vasta: molti lo lessero, molti ne parlarono. Tra questi, esponenti del mondo accademico (Dazzi, De Coro, Jervis, Ortu), psicoanalisti della Società Psicoanalitica Italiana (Nissim Momigliano e Robutti a Milano; Ponsi e Filippini a Firenze; Arnetoli, Bastianini, Furbini, Luoni, Meterangelis, Moccia, Spiombi, a Roma), psicoanalisti e psicoterapeuti  “indipendenti” (Conci, Bonomi, Galli, Migone).

    In un primo momento non tutti capirono le implicazioni teoriche e soprattutto cliniche che il libro proponeva. Quasi tutti ignorarono il fatto essenziale che i due autori non appartenevano all’International Psychoanalytic Association, ma al William Alanson White Institute di New York, un istituto di formazione indipendente creato dalla scuola interpersonale (Sullivan, Fromm).

    Il successivo libro di Mitchell, Gli orientamenti relazionali in psicoanalisi pubblicato nel 1988 e tradotto in italiano nel 1993 con una introduzione di Marco Conci, rese definitivamente chiare le rivoluzionarie idee dell’autore.
    In primo luogo il modello relazionale sovraordinava le relazioni alle pulsioni nello sviluppo della psiche umana. In secondo luogo quel che restava del concetto di pulsione veniva spogliato della valenza biologica/economica e restituito integralmente alla psicologia: la pulsione, non più rappresentante psichico dell’istinto, era ridefinita come esperienza psicologica di una motivazione.

    Per una sinergia che riteniamo non casuale, nel 1989 usciva Psicoanalisi e Sistemi Motivazionali di Joseph Lichtenberg (1989) che ridefiniva e ampliava il concetto di motivazione in psicoanalisi e includeva l’attaccamento tra le principali motivazioni umane.
    Un altro libro fondamentale, la cui traduzione nel 1987 esercitò grande influenza su analisti e terapeuti italiani – almeno su quelli sensibili alla ricerca sulla prima infanzia – è stato senza dubbio Il mondo interpersonale del bambino di Daniel Stern (1985), in cui veniva contestata radicalmente la nozione di narcisismo primario e riformulata su basi relazionali la teoria delle rappresentazioni.

    Nel 1988 fu pubblicata la traduzione italiana del Diario Clinico di Sandor Ferenczi (1932), uscito finalmente in una prima edizione francese nel 1985 dopo un lungo periodo di sonno. Tra le diverse innovazioni, l’autore proponeva un concetto chiave della psicoanalisi relazionale: la mutualità nella teoria e nella pratica clinica (vedi Aron, 1996, pp. 143-185).
    L’importanza di questi volumi consisteva nel fatto di coagulare e far emergere un filone che era stato sempre presente nella psicoanalisi, e anche nella psicoanalisi italiana.

    Gli scritti di Fairbairn (1952) che rileggevano la pulsione in chiave relazionale, il lavoro sul transfert di Merton Gill (1976), la Teoria Psicoanalitica di George Klein (1976) e la sua critica alla metapsicologia freudiana per “salvare” piuttosto il Freud psicologico, erano ormai riferimenti importanti per alcuni psicoanalisti e studiosi “revisionisti” italiani. Anche le idee di Sullivan, i cui libri erano stati tradotti negli anni Sessanta (Sullivan, 1953, 1954, 1957), avevano suscitato interesse fra i terapeuti più sensibili a una visione interazionista della psicoanalisi.

    Indubbiamente la conoscenza di questi e altri autori relazionali è stata dovuta alla loro diffusione nel mondo accademico più che in quello della psicoanalisi “ortodossa”. In particolare va riconosciuto il merito di Nino Dazzi e Massimo Ammaniti per aver fatto tradurre nella collana “Psicoanalisi e Ricerca” – da loro curata per Raffaello Cortina Editore – molti testi che in altri paesi e in altre culture psicoanalitiche – ad esempio la Spagna e tutto il Sud America – rimangono tuttora non tradotti.

    Un’attenzione particolare merita l’opera di Bowlby rispetto alla quale possiamo tratteggiare una specificità del contesto italiano. Oggi negli ambienti ortodossi il valore della teoria dell’attaccamento viene finalmente presa in considerazione. Ma negli anni settanta e nei primi anni ottanta, quando vennero tradotti i tre volumi di Bowlby Attaccamento e Perdita (1969, 1973, 1980) e il libro Costruzione e rottura dei legami affettivi (Bowlby, 1979), la quasi totalità della psicoanalisi ortodossa italiana reagì in modo apertamente ostile, oppure ne ignorò la cruciale importanza. Nonostante questo la teoria dell’attaccamento ha avuto un riconoscimento precoce e vasto, e anche una notevole eco clinica, nell’ambito della psicoanalisi italiana indipendente.

    È questa una caratteristica che ha da subito differenziato la nostra cultura psicoanalitica anche dagli autori relazionali americani, con la ovvia esclusione di Lichtenberg: ricordiamo infatti che il completo riconoscimento dell’opera di Bowlby da parte di Mitchell è avvenuto solo nel 2000 con il libro Il modello relazionale (2000).


    La creazione di un istituto psicoanalitico indipendente in Italia

    Riprendiamo ora il filo della nostra esperienza. Negli anni in cui insieme ad altri colleghi studiavamo gli autori relazionali, eravamo anche molto colpiti dall’opera di Kohut e dalla psicologia del Sé. Notavamo, pur nelle differenze teoriche, uno “stile” clinico, una parentela esistenziale, una vicinanza della teoria all’esperienza che a nostro avviso accomunava tanti psicoanalisti di due orientamenti apparentemente diversi.

    Inoltre, negli anni ottanta la psicologia del Sé, nata dal genio clinico e dall’indipendenza intellettuale di Heinz Kohut, si stava trasformando in una sorta di costellazione ricca e articolata di vari filoni di approfondimento ed elaborazione, alcuni dei quali possono essere inclusi nell’accezione più ampia degli approcci relazionali.
    Certamente questa comunanza aveva a che fare con una “antica” e preziosa caratteristica della psicoanalisi nordamericana: l’esistenza, accanto a istituti ortodossi, di molti istituti indipendenti e cioè non condizionati dai vincoli dell’appartenenza alla International Psychoanalytic Association (IPA).

    Questa indipendenza ha permesso una dialettica innovativa tra rigore e ricerca in psicoanalisi con un respiro e un’apertura sconosciuti in quegli anni in Italia e in Europa. Così, dalla fine degli anni ottanta in poi, il nostro interesse si è ugualmente diviso tra la psicoanalisi relazionale e la psicologia del Sé.
    La diffusione della psicologia del Sé in Italia ha avuto inizio alla fine degli anni settanta, e si legava alla storia professionale dello psichiatra e psicoanalista Franco Paparo. Che ha avuto il grande merito – in quel periodo della psicoanalisi italiana – di riconoscere l’importanza delle opere di Kohut, di contattarlo personalmente, di partecipare al primo congresso di psicologia del sé a Boston nel 1979 e di conoscere molti altri psicologi del Sé.

    Consapevoli di questi fermenti nel pensiero psicoanalitico, ci siamo spinti a esplorare meglio il panorama internazionale. Partecipammo quindi a tre Congressi dell’IPA: Buenos Aires nel 1991, Amsterdam nel 1993 e San Francisco nel 1995 e queste furono esperienze decisamente deludenti. Non solo le nuove tendenze relazionali e della psicologia del Sé avevano in quell’ambito uno spazio praticamente inesistente, ma ad Amsterdam fummo addirittura testimoni di un feroce attacco in plenaria di André Green a Theodor Jacobs – un noto analista americano dell’IPA – che aveva presentato un caso in cui emergevano alcuni atteggiamenti clinici blandamente relazionali.

    A San Francisco, due anni dopo – nonostante il fruttuoso incontro personale con Robert Emde che intervistammo sul suo lavoro di ricerca sulle emozioni, e la partecipazione alla conferenza di Peter Fonagy, la cui ricerca ci sembrò molto interessante – il senso complessivo del convegno ci apparve chiuso alle prospettive che ci interessavano.

    Mentre eravamo a San Francisco a fine luglio 1995 per il congresso IPA, venimmo a sapere che nell’ottobre dello stesso anno si sarebbe tenuto il 17° Convegno internazionale della psicologia del Sé e decidemmo – con un notevole sforzo finanziario – di tornare tre mesi dopo. Lo sforzo fu assolutamente ripagato non solo per l’ampiezza e la profondità di quasi tutti i lavori presentati, ma anche perché negli interventi di Robert Stolorow, di Frank Lachmann e di Joseph Lichtenberg erano evidenti tracce di quell’atteggiamento che avevamo conosciuto solo nei libri.

    L’apertura del pensiero, la cordialità dell’accoglienza, la curiosità per la presenza di ben due italiani (fino ad allora solo Franco Paparo aveva partecipato a questi congressi) e soprattutto l’atmosfera di comunità che nel congresso era palpabile, ci impressionò positivamente. Possiamo dire che nel 1995 la nostra ricerca trovò in questa comunità internazionale un punto di riferimento rimasto costante fino a oggi.

    Da quel momento in poi cominciò a essere più chiaro quello di cui c’era bisogno per diffondere la psicoanalisi relazionale e la psicologia del Sé in Italia. Non si trattava solo di rendere accessibili delle idee, ma anche e soprattutto costruire una comunità all’interno della quale si potesse fare esperienza della stessa libertà di pensiero e della stessa passione per l’evoluzione della teoria e della clinica, pur nel rispetto di molti aspetti della tradizione psicoanalitica. (Un grande musicista, Miles Davis, ha detto, a proposito del jazz, che il modo migliore di onorare una tradizione è fare qualcosa di nuovo che sia alla sua altezza). Con altri colleghi ci siamo impegnati nel processo di costruzione di uno spazio culturale che permettesse di dialogare in modo diretto con coloro che contribuivano all’evolversi della psicoanalisi relazionale e della psicologia del Sé. Questo è stato il fondamento del nostro progetto.

    In quegli anni la cultura psicoanalitica italiana faceva fatica a tenersi in contatto con il resto del mondo in modo paritario – nel senso sia di avere un’informazione sufficiente su ciò che stava accadendo altrove sia di far conoscere al mondo ciò che in Italia veniva elaborato. I motivi storici e sociali sono molti, ma certamente la barriera linguistica giocava un ruolo centrale.

    L’impegno forse più faticoso che abbiamo affrontato con i nostri colleghi, e che tuttora assorbe molte energie, è quello di tradurre in italiano libri, articoli, conferenze, seminari e così via. D’altra parte solo così ha potuto stabilirsi e mantenersi un ponte con il dibattito internazionale, così che la nostra comunità si costituisse come luogo di confronto del pensiero psicoanalitico con la prassi clinica, nella complessità della comparazione tra modelli compatibili, ma anche diversi.

    Nel novembre del 1995 organizzammo a Roma – con altri colleghi, molti dei quali erano membri della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) con una grande apertura a queste prospettive – il primo incontro internazionale con Robert Stolorow.
    Il seminario suscitò grande interesse anche perché era già disponibile la traduzione italiana di Contesti dell’essere (Stolorow, Atwood, 1992). Inoltre, come si è spesso verificato successivamente, questo incontro aiutò notevolmente a delineare la fisionomia psicoanalitica e le appartenenze culturali dell’autore.

    Quasi tutti ignoravano che Stolorow fosse un analista indipendente, che avesse dato con la sua teoria intersoggettiva un contributo fondamentale a una visione contestuale della psicoanalisi e avesse il progetto – a cui è rimasto poi fedele negli anni – di creare una fenomenologia psicoanalitica che si opponesse alle reificazioni della metapsicologia classica. E che, inoltre, aveva contribuito a fondare ben due istituti indipendenti di grande successo negli Stati Uniti: l’Institute for the Psychoanalytic Study of Subjectivity a New York e l’Institute for Contemporary Psychoanlysis a Los Angeles.

    Nei tre anni successivi – sempre con gli stessi colleghi – organizzammo altri incontri internazionali. Abbiamo invitato nuovamente Stolorow e, per la prima volta, nel maggio del 1997, Howard Bacal, già noto in Italia per il libro Teoria delle relazioni oggettuali e psicologia del Sé (Bacal, Newman, 1990). Bacal, noto psicologo del Sé, si era formato a Londra presso la Tavistock, aveva fatto un periodo di supervisione con Bion e si riconosceva senz’altro nel movimento relazionale; come aveva scritto nel suo libro, considerava la psicologia del Sé una particolare forma di teoria delle relazioni oggettuali.

    Pur essendo un analista IPA, Bacal aveva gettato le basi per costruire a Toronto, dove viveva, un istituto psicoanalitico indipendente l’Institute for Contemporary Psychoanlysis di Toronto.
    Sempre nel 1997 abbiamo invitato due psicoanalisti che si sono rivelati centrali nella storia della nostra comunità. Nel gennaio dello stesso anno, a Roma, tenne la sua prima conferenza italiana James Fosshage: parlò della regolazione affettiva reciproca, delle prospettive dell’ascolto analitico e della responsività facilitante. Fosshage era una figura di grande rilievo nella psicoanalisi indipendente americana e aveva già pubblicato libri insieme a Lichtenberg e Lachmann, oltre a un celebre articolo sul transfert uscito nei primi anni novanta (Fosshage, 1994) sull’International Journal of Psychoanalysis, ma non era molto noto in Italia.
    La sua conferenza suscitò un notevolissimo interesse. Nell’ottobre dello stesso anno fu la volta di Joseph Lichtenberg, che tenne due seminari clinici, anche questi di grande successo.

    Avevamo conosciuto sia Fosshage sia Lichtenberg al Congresso internazionale della psicologia del Sé del 1996 a Washington, dove Gianni Nebbiosi e Franco Paparo erano stati invitati a presentare un lavoro sulla psicoanalisi di gruppo. Fosshage e Lichtenberg avevano accolto con molto calore il nostro invito in Italia l’anno successivo. Entrambi, quando incontrarono il nostro gruppo, ci sollecitarono a creare un istituto psicoanalitico indipendente suscitando qualche comprensibile perplessità nei colleghi appartenenti alla SPI.

    Un altro personaggio chiave che invitammo nel 1998 fu Lewis Aron. Due anni prima aveva pubblicato un libro fondamentale per la psicoanalisi relazionale, Menti che si incontrano (1996) che noi [G.N., S.F.] traducemmo in italiano alcuni anni dopo. Aron fu un’autentica sorpresa positiva dal punto di vista sia scientifico sia umano.
    Era piuttosto giovane e pieno di energia, appassionatissimo di psicoanalisi, amante della musica rock (suona tuttora la chitarra in un gruppo newyorkese composto unicamente da psicoanalisti), e portava un orecchino all’orecchio sinistro; ma era anche direttore del New York University Postdoctoral Program in Psychotherapy and Psychoanalysis.

    Si era formato nel filone freudiano di questo istituto, ma era diventato allievo e poi stretto collaboratore di Stephen Mitchell. Aron tenne una conferenza sulle scelte cliniche e la matrice relazionale, pubblicata poi sui Dialogues l’anno successivo (Aron, 1999), che ci impressionò tutti, sia per la sua profondità sia per la sua novità.
    Nel 1998 tornò Fosshage, presentando un lavoro sulle funzioni organizzatrici dell’attività mentale del sogno; nel dicembre dello stesso anno invitammo per la prima volta Donna Orange, che avevamo conosciuto a San Francisco nel 1995 alla presentazione del suo primo libro La comprensione emotiva (Orange, 1995) di cui curammo successivamente, insieme a Franco Paparo, l’edizione italiana.

    Le conferenze organizzate nel corso degli anni avevano raggruppato intorno al nucleo originario diversi altri colleghi. In particolar modo i membri della Società Italiana di Psicologia del Sé, fondata da Franco Paparo, che si erano tutti (tranne un piccolo gruppo) interessati sempre più anche alla psicoanalisi relazionale. Ormai le forze erano sufficienti, e nel febbraio del 1999 decidemmo di fondare l’ISIPSé, l’Istituto di Specializzazione in Psicologia Psicoanalitica del Sé e Psicoanalisi Relazionale.

    Nell’autunno dello stesso anno iniziò il primo corso quadriennale rivolto a psicoterapeuti che volevano intraprendere una formazione psicoanalitica indipendente improntata alla psicologia del Sé e alla psicoanalisi relazionale. Dal 2000 in poi il nostro istituto ha organizzato quattro o cinque incontri internazionali ogni anno.
    Alcuni dei colleghi di Milano hanno costituito, poco dopo, il Centro Milanese dell’ISIPSé che organizza ogni anno un ciclo di seminari teorici e presentazioni cliniche attorno a un tema caratterizzante la psicoanalisi contemporanea: il rapporto con la teoria dell’attaccamento, il rispetto nell’incontro terapeutico, i fattori di cambiamento, e così via. È stato per noi tutti un importante riconoscimento quando l’attuale coordinatore del Centro Milanese ISIPSé, Paolo Stramba-Badiale, nel 2010 è stato eletto nel Board direttivo della International Association for Psychoanalytic Self Psychology (IAPSP). Nel novembre del 2005 il MIUR ha riconosciuto la Scuola di Psicoterapia ISIPSÉ

    Si sono inoltre stabiliti rapporti continuativi anche con professionisti di altre regioni italiane: Puglia, Sardegna, Piemonte, Toscana, Sicilia. Pur essendo parte integrante del training istituzionale, le nostre conferenze sono sempre state aperte a tutti coloro che fossero interessati, con il duplice intento di diffondere la conoscenza di questa “nuova” psicoanalisi e di mantenere aperto il confronto anche con chi seguiva percorsi diversi.

    Spesso abbiamo creato occasioni di collaborazione con istituti rappresentativi di altri approcci come per esempio la scuola cognitivista – soprattutto il gruppo che fa capo a Gianni Liotti con il quale abbiamo numerosi punti di convergenza – la psicologia analitica junghiana – in particolare Massimo Giannoni e il suo gruppo – e la scuola della Gestalt. Non possiamo scendere nei dettagli di tutti questi incontri; aggiungiamo solo qualche nota sulle occasioni che hanno rappresentato dei momenti di ulteriore crescita del nostro gruppo.

    Mutualità: lo scambio scientifico-organizzativo tra Italia, Europa e Stati Uniti

    Nel 2001, pochi settimane dopo la tragedia dell’11 settembre, venne a Roma a tenere una conferenza Emmanuel Ghent, uno dei fondatori della scuola relazionale negli Stati Uniti, insieme a Mitchell, Fosshage e Bromberg. Ghent era stato docente alla New York University di quasi tutti gli analisti relazionali della prima generazione: Lewis Aron, Jessica Benjamin, Beatrice Beebe e molti altri.

    Il suo articolo Masochism, submission and surrender: masochism as a perversion of surrender (1990) è divenuto ormai un classico della psicoanalisi relazionale. Ma furono soprattutto l’impatto personale e la straordinaria umanità a colpirci moltissimo. Stabilimmo con lui un profondo rapporto di amicizia e collaborazione durato fino alla sua morte, all’inizio del 2004.

    Nel 2002 abbiamo organizzato la prima conferenza internazionale sulla prospettiva intersoggettiva con la presenza dei tre autori di riferimento: Robert Stolorow, George Atwood e Donna Orange.
    Nel 2004 abbiamo organizzato un convegno, del quale dobbiamo dare merito a Vittorio Lingiardi che ne fu chair, che ci ha permesso di conoscere una delle aree più innovative del movimento relazionale, quella della decostruzione del concetto di genere come identità.

    Grazie al contributo del femminismo e del postmodernismo si era cominciato a diversificare il sesso dal genere e dalla sessualità in modo da superare i tre elementi più datati della visione di Freud: la femminilità come deviazione, la dimensione dominante dell’eterosessualità, la divisione dicotomica del genere.

    Una revisione radicale che ha portato anche a riformulare l’omosessualità in termini non patologici. In questa occasione sono venuti a trovarci tre figure di riferimento in questa area: Muriel Dimen, Virginia Goldner e Jack Drescher (si veda Dimen, Goldner, 2002); il dialogo con loro e con Vittorio Lingiardi ha inaugurato un filone di approfondimento che continua a interessare molto il nostro gruppo.

    Grazie agli scambi ormai abituali con alcuni degli autori relazionali – con i quali si è stabilito spesso un rapporto di autentica amicizia –, e grazie al fatto che nel frattempo ogni anno continuavamo a partecipare alle conferenze della psicologia del Sé, ormai accompagnati da almeno una decina di colleghi italiani, si è creata un’importante vicinanza non solo fra individui, ma anche fra istituti.

    Sul piano dello scambio internazionale la IARPP deve moltissimo a Hazel Ipp di cui ne è stata presidente per due mandati; soprattutto grazie a lei questa organizzazione ha promosso fin dall’inizio una mentalità attenta alla dimensione internazionale e ha creato le strutture per valorizzare questa mentalità.

    Cosa vuol dire attenzione alla dimensione internazionale in ambito statunitense? Non vuol dire soltanto essere interessati a venire in Europa e nel mondo a diffondere le proprie idee – come molti autori hanno sempre fatto – vuol dire piuttosto essere interessati anche ad ascoltare i colleghi non americani, a creare cioè lo spazio per un dialogo alla pari.

    La Ipp ha fatto molto in questo senso e anche grazie a lei è stato possibile un’influenza di ritorno dal resto del mondo verso gli USA. Alcuni piccoli esempi: il sostegno continuo – malgrado le difficoltà organizzative, finanziarie, culturali – all’organizzazione della conferenza annuale IARPP alternativamente un anno negli USA e un anno fuori dagli USA; il mettere a disposizioni, nelle conferenze, i testi scritti dei lavori presentati per facilitare i partecipanti non madre-lingua inglese; l’attenzione al formarsi di gruppi locali in diverse parti del mondo; la cura nel garantire accoglienza negli incontri e nella rivista Psychoanalytic Dialogues.

    Un’altra collega e amica che è sempre stata molto interessata allo scambio internazionale è Donna Orange sia per la sua immediata adesione ai – e riconoscimento dei – metodi e impostazione del nostro istituto di cui è diventata poi membro ordinario, sia per la sua curiosità umana e intellettuale.
    Dopo il nostro primo invito nel 1998, la Orange ha cominciato a studiare con passione l’italiano e oggi è in grado di svolgere supervisioni e perfino analisi in italiano. Con lei abbiamo cominciato a fantasticare una conferenza che creasse la possibilità di condividere un’iniziativa fra istituti indipendenti che fosse innovativa.

    Così nel giugno 2004 a Siracusa, in congiunzione con le rappresentazioni classiche nel teatro greco, si è organizzato un convegno dal titolo “L’orecchio di Dioniso: trauma, tragedia e ascolto psicoanalitico” a cura di cinque istituti: il Toronto Institute for Contemporary Psychoanalysis (TICP Toronto), il Massachussetts Institute for Psychoanalysis (MIP Boston), l’Institute for the Psychoanalytic Study of Subjectivity (IPSS New York), l’Institute for Contemporary Psychoanalysis (ICPLA Los Angeles), e naturalmente l’ISIPSÉ.

    Il convegno si articolava in cinque giornate, ciascuna gestita autonomamente da uno degli istituti, focalizzando i lavori sulle tragedie rappresentate quell’anno: Edipo Re e Medea. Condividere un’esperienza culturale così importante ha consentito di trascendere confini linguistici e geografici, lasciando una forte traccia in tutti i partecipanti, tanto che nel 2010 abbiamo ripetuto l’iniziativa.
    Neil Altman, che nel 2004 era co-direttore insieme a Jody Messler Davies di Psychoanalytioc Dialogues, venne a Siracusa e ci propose di dedicare parte di un numero della rivista a quell’incontro. La pubblicazione su Psychonalytic Dialogues (2006) dei contributi provenienti da un’iniziativa italiana testimonia una certa maturità del processo di scambio internazionale e l’iniziale reciprocità nella circolazione delle idee.

    Ma facciamo un piccolo passo indietro per capire meglio come è avvenuta la diffusione dei modelli psicoanalitici contemporanei e lo sviluppo delle comunità, e torniamo per un momento negli Stati Uniti.
    Nel 1998 a San Diego l’organo direttivo internazionale della psicologia del Sé l’International Council of Psychoanalytic Self Psychology, di cui faceva parte da sempre Franco Paparo, elesse anche Gianni Nebbiosi fra i suoi membri.

    Questo favorì una maggiore attenzione del Council alle problematiche europee e alla diffusione della psicologia del Sé in culture diverse. Nel 2004 il Council ha costituito la International Association for Psychoanalytic Self Psychology (IAPSP), che si è strutturata come un organismo internazionale per la diffusione della psicologia del Sé e la formazione. Nel 2007 Susanna Federici è stata eletta nel Board direttivo della IAPSP.

    Un breve cenno ai contatti europei. Negli anni ottanta e novanta la psicologia del Sé ha avuto una certa diffusione nel Nord Europa, soprattutto in Germania, dove si sono formati gruppi di studio in diverse città, ma nessun istituto indipendente.
    A Vienna invece è stata aperta una Scuola di psicoterapia e un Istituto indipendente già nel 1990. Siamo entrati in contatto con questi gruppi di colleghi e nel 2006 abbiamo organizzato a Roma la Quarta Conferenza della European Federation for Psychoanalytic Selfpsyhology (EFPS). Anche tra questi psicologi del Sé europei molti sono fortemente interessati al movimento relazionale.

    Sul versante relazionale dobbiamo segnalare un avvenimento cruciale per la nostra comunità. Come scrive Aron nel suo libro, la psicoanalisi relazionale si è sviluppata inizialmente negli incontri della Divisione di Psicoanalisi (39) dell’American Psychological Association.
    Nella primavera del 2000 Nebbiosi andò a San Francisco alla conferenza della Divisione 39 per incontrare Mitchell che avevamo invitato in Italia per l’anno successivo.

    L’incontro fu lungo e nacque un’immediata simpatia e stima reciproche: due mesi dopo Mitchell invitò Nebbiosi a far parte del Board dei fondatori della International Association for Relational Psychoanalysis and Psychotherapies IARPP. Purtroppo Mitchell morì inaspettamente nel dicembre di quell’anno, lasciando un grande vuoto in tutto il movimento relazionale. Nel 2001 l’unica celebrazione in memoria di Stephen Mitchell che ci risulti sia stata promossa in Italia si è svolta alla Facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma a cura di Nino Dazzi, Vittorio Lingiardi e Gianni Nebbiosi.

    Nonostante questo gravissimo lutto, fu fondata la IARPP e venne tenuto il primo congresso nel gennaio del 2002 a New York, con la straordinaria affluenza di circa milleduecento persone. Lewis Aron fu il primo presidente e Nebbiosi vicepresidente.
    Un evento particolare del 2004 è stata la collaborazione fra il nostro istituto e il local chapter della IARPP, da poco costituitosi a Barcellona, per la realizzazione di un convegno con Lichtenberg e molti analisti spagnoli.

    Uno psicoanalista di Barcellona, Ramon Riera, era venuto a Roma per la conferenza sulla prospettiva intersoggettiva e avevamo stabilito un contatto fruttuoso; tornò altre volte e promosse in Spagna iniziative simili alle nostre fino a costituire il primo dei local chapter della IARPP che inizialmente fu stabilito a Barcellona. Successivamente la sede del IARPP local chapter è stata trasferita a Madrid con il coordinamento di Alejandro Avila. La conferenza IARPP del 2011 si svolge proprio a Madrid.

    Una nota speciale dobbiamo dedicarla al Convegno della IARPP organizzato a Roma nel 2005. Dopo New York (2002), Toronto (2003) e Los Angeles (2004), il congresso di Roma del 2005 fu il primo ad aver luogo in Europa. C’era qualche incertezza e preoccupazione sull’esito che il congresso avrebbe avuto; quindi lo sforzo organizzativo di tutti noi dell’ISIPSÉ – che eravamo co-sponsor del congresso – fu davvero grande.

    Ma contro ogni aspettativa negativa il congresso, che si tenne nella stupenda Sala dello Stenditoio del San Michele di Roma, ebbe un enorme successo di contenuti e partecipanti, con seicentoventi iscritti.

    Uno dei motivi del successo del congresso fu il fatto che dal 1999 un gruppo sempre più vasto di nostri colleghi dell’ISIPSÉ partecipava con assiduità alle conferenze americane della psicologia del Sé e della psicoanalisi relazionale, un fatto che aveva promosso una vicinanza tra le nostre comunità, permesso scambi scientifici, instaurato relazioni di amicizia, consentito rapporti durevoli e scambi di opinioni sulle complessità della formazione psicoanalitica in culture diverse.

    Dopo questo convegno i colleghi italiani hanno contribuito sempre più attivamente alle conferenze IARPP come relatori, chair, discussant. Nel 2007, ad Atene, Susanna Federici è stata eletta nel Board direttivo della IARPP e nominata chair del comitato per le conferenze internazionali.


    Il valore intersoggettivo del corpo nella clinica e nella formazione

    La lezione più importante che abbiamo imparato in questi anni di conoscenza e diffusione della psicoanalisi relazionale in Italia è quanto sia essenziale la presenza fisica delle persone che trasmettono il sapere analitico.

    Ovviamente questo non sminuisce la necessità di leggere, studiare, imparare dai libri, dai testi scritti. Tuttavia nella psicoanalisi relazionale la presenza fisica di chi trasmette un sapere ha, riteniamo, un valore fondante. Vedere – ripetutamente, non solo occasionalmente – un autore mentre legge un articolo (con le sue pause, i suoi ritmi), riflette su una domanda, si appassiona a un argomento teorico, fa una battuta per alleggerire l’atmosfera, ricorda una sequenza clinica vissuta, fa una supervisione con una particolare attenzione – e tanto altro – ha un valore che riteniamo essenziale per la trasmissione della psicoanalisi relazionale, dal punto di vista sia teorico sia clinico.

    La dimestichezza intersoggettiva fra i corpi di chi insegna e chi impara tende gradualmente ad attenuare la sensazione di lontananza data dai ruoli, ad aumentare la familiarità e quindi a favorire il dialogo. Cosa ancor più importante, ci sono dei saperi che si trasmettono solo con la presenza corporea: in che modo si ascolta, in che modo si attende, in che modo si comunica, sono saperi che passano in gran parte dalla comunicazione corporea.

    D’altronde nella letteratura psicoanalitica contemporanea il valore crescente dell’implicito, degli enactment, fa riferimento proprio all’importanza del corpo nella relazione analitica.

    Riteniamo quindi che nella formazione dei terapeuti un’attenzione a una trasmissione incarnata, corporea, della psicoanalisi renda più coerente e omogeneo il passaggio dalla teoria alla situazione clinica.
    Sembrerebbe singolare – e anche un po’ bizzarro – trasmettere solo con le parole, e per di più con le parole scritte, saperi che insistono sulla grande complessità della comunicazione umana e in particolare della comunicazione corporea. Se è pur vero che anche nella tradizione psicoanalitica classica la formazione passa per il corpo di un docente o di un supervisore, è ancora più vero che il contatto intersoggettivo corporeo con l’autore di una certa prospettiva psicoanalitica ha un valore del tutto speciale.

    Per fare un esempio: una cosa è apprendere la teoria motivazionale di Lichtenberg da uno dei suoi tanti libri, altra è apprendere la stessa teoria da un docente esperto che la spiega, altra cosa ancora è apprenderla da Lichtenberg in persona.
    Abbiamo capito la fluidità dell’alternanza dei sistemi motivazionali, il suo aspetto cangiante a seconda dei contesti soggettivi e intersoggettivi nel vedere Lichtenberg muovere mani e braccia, fare espressioni del viso, cambiare tono di voce, mentre illustrava le sue idee. Siamo convinti che queste espressioni e questi movimenti “rimangano nel corpo” dei terapeuti che ne hanno fatto esperienza, soprattutto quando svolgono il loro lavoro clinico.

    Negli ultimi anni le ricerche sui neuroni specchio (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006) ci hanno sempre più convinti dell’enorme importanza del corpo nell’intersoggettività. In particolare il concetto di simulazione incarnata proposto da Gallese (2007) ci sembra il concetto migliore per spiegare e valorizzare la necessità della trasmissione corporea del sapere.
       
    Inoltre, se c’è una cosa che caratterizza la psicoanalisi relazionale è la molteplicità delle idee e degli autori che le propongono. Non si tratta di aderire alle idee di un “maestro” ma di partecipare a una costruzione teorico-clinica operata da molti autori.

    Conoscere personalmente e interagire con questa molteplicità permette a docenti e allievi una visione più accurata, più incarnata e profonda di questa complessità oltre alla sensazione vitalizzante di far parte di un processo che sta avvenendo.

    Insieme a tanti , abbiamo lavorato per diffondere le idee del movimento relazionale in Italia. Quanto e come siamo riusciti nel nostro progetto non sta a noi dire. Ma la passione per la psicoanalisi che ci ha animato e la dedizione a un “sogno” comunitario ci ha fatto tutti partecipi di un viaggio straordinario.


    Gli autori dell'articolo

    Gianni Nebbiosi


    Susanna Federici



    Una prima versione di questo articolo è stata pubblicata nel volume “La svolta relazionale: Itinerari italiani” a cura di V. Lingiardi, G. Amedei, G. Caviglia, F. De Bei (Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011).


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