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    Psicologia e alimentazione: la dieta dimagrante è controproducente

    La dieta dimagrante ad oggi è ritenuta controproducente, anche dal Ministero della Salute, per il raggiungimento e mantenimento di un adeguato peso corporeo.

    Lo Psicologo può giocare un ruolo importante in questo ambito di intervento…

    La parola “dieta” dal greco diaita, modo di vivere, indicava nell’antica medicina greca l’insieme delle sane abitudini di vita (alimentazione, attività fisica, riposo, ecc.) atte a mantenere un buono stato di salute.

    Nell’accezione moderna questo termine indica invece una prescrizione alimentare strutturata qualitativamente e quantitativamente che consenta di correggere particolari condizioni cliniche a scopo terapeutico o preventivo, o, più genericamente, l’insieme degli alimenti che un essere umano assume abitualmente.

    Tuttavia il termine viene comunemente adoperato per designare nello specifico le diete dimagranti e viene quindi associato a tutta una serie di restrizioni alimentari messe in pratica dall’individuo per ridurre il suo peso corporeo, spesso senza la reale necessità di perderlo, e spesso senza il consulto di un medico.

    Due aspetti saltano all’occhio mettendo a confronto l’attuale concezione di dieta con quella originaria:

    • La dieta non viene ricercata dal soggetto tanto per questioni di salute quanto piuttosto per questioni estetiche
    • La dieta non ha nulla a che fare con lo “stile di vita” globalmente inteso del soggetto, come accadeva nell’antichità, ma viene vista come un provvedimento estremo e temporaneo, limitato alla sfera alimentare.

    Non di rado l’obiettivo è unicamente quello di riplasmare il proprio corpo a immagine e somiglianza del modello di bellezza insano e irrealistico propinato dai mass media.

    In una società in cui l’aspetto fisico e l’apparenza vengono presentate come la carta vincente per il successo o la chiave per la felicità, si può rischiare di considerare la dieta come la soluzione ad ogni problema, finendo per concentrare tutte le proprie preoccupazioni sul peso e sul cibo, apparentemente più semplici da controllare rispetto a problemi emotivi o relazionali, perché verificabili e misurabili.

    Le diete ferree, al contrario, non soltanto si rivelano inefficaci al fine di raggiungere uno stato fisico ideale (sia dal punto di vista della salute che da quello estetico) ma certamente non facilitano la risoluzione dei problemi della vita quotidiana, anzi rischiano addirittura di aggravarli, rappresentando di per sé un importante fattore di rischio per lo sviluppo di patologie legate al comportamento alimentare.

    Il bombardamento incessante di consigli di bellezza, regole dietetiche, stratagemmi e prodotti dimagranti di ogni tipo – la cosiddetta diet industry – a opera dei mezzi di comunicazione di massa, non ha fatto altro che incentivare la diffusione delle diete, ben presto associate a qualità considerate socialmente ammirevoli come volontà, autocontrollo, forza di carattere.

    Ma una dieta così intesa si rivela inopportuna sia nei casi in cui la persona, subissata dai messaggi culturali inneggianti al mito della magrezza, desideri perdere peso pur non avendone bisogno, sia nei casi in cui invece, essendo sovrappeso, voglia ripristinare il suo peso-forma.

    In entrambi i casi infatti essa produce complicanze fisiche (debolezza, diminuzione del metabolismo, disturbi del sonno, gastrointestinali, ecc.) e psicologiche (depressione, ansia, irritabilità, apatia, ridotta capacità di concentrazione, ecc.), non risolvendo i problemi alla base, andando a colpire soltanto la punta dell’iceberg.

    Se pure non è escluso che si possa assistere ad un iniziale dimagrimento, l’impulso biologico provocherà prima o dopo una perdita di controllo nei confronti del cibo, che nulla ha a che vedere con la mancanza di volontà e di rigore.

    Infatti, affamare in modo estremo e innaturale l’organismo lo porterà inevitabilmente a sovvertire la situazione per il meccanismo di restrizione-disinibizione: una volta perso il controllo a causa della deprivazione eccessiva, scattano i sensi di colpa, i quali ripristinano a loro volta la restrizione, innescando un circolo vizioso che si autoperpetua a danno dell’equilibrio psico-fisico del soggetto.

    Da ciò deriva una considerazione fondamentale: una dieta restrittiva e sbilanciata non può rappresentare una soluzione al problema, ciò che occorre fare non è dunque sottoporsi a diete frustranti, fallimentari e pericolose, bensì cercare di ristabilire un buon rapporto con il cibo e di conseguenza cambiare gradualmente le proprie abitudini di vita a favore di comportamenti più funzionali e adattivi.

    Questo può avvenire facendo attenzione alle proprie modalità di alimentarsi, registrando i propri comportamenti, i propri pensieri ed emozioni, per capire come e perché si tenda a mangiare di più, se ad esempio lo si fa in modo compulsivo, senza prestare attenzione a ciò che si sta facendo, se accade principalmente in determinate circostanze (ad esempio quando si è in compagnia o viceversa da soli) o sulla spinta di particolari stati d’animo.

    Infatti “food is more than something to eat”: un insieme di fattori concomitanti ruotano intorno all’apparentemente semplice atto di alimentarsi.

    Pertanto, laddove è necessario, l’utilizzo di un diario alimentare e un intervento psicologico possono rivelarsi degli efficaci strumenti di supporto per affrontare la problematica.

    Ciò è molto importante dal momento che ciascuno di noi è un individuo a sé stante ed è bene perciò analizzare i meccanismi alla base di un comportamento alimentare improprio in modo individuale.

    Lo Psicologo può individuare tali meccanismi ed aiutare la persona ad affrontarli con strategie risolutive personalizzate, che tengano conto non soltanto del mero conteggio calorico di fine giornata, ma dell’insieme di concomitanze situazionali, psicologiche, relazionali ed emotive che hanno concorso a determinare quel particolare stile alimentare che si è strutturato nel tempo, fino a divenire una data e caratteristica modalità che la persona ha di relazionarsi col cibo.

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