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    Psicologia e cinema: la cineterapia

    “Macchina dei sogni”: questa è la prima definizione assegnata al cinema sin dai suoi esordi, grazie alla sua capacità di proporre scenari immaginari sullo schermo scaraventando lo spettatore al di là della sua sfera quotidiana.
    Tuttavia, mentre il sogno fa riferimento ad una dimensione individuale all’interno della quale la persona è attiva, il film coinvolge un pubblico vasto che lo segue passivamente, nella consapevolezza che ciò che sta osservando appartiene alla finzione. 
     
    Attualmente alcune ricerche nell’ambito della psicofisiologia della percezione si stanno dedicando allo studio dei neuroni responsabili dell’analisi degli stimoli visivi, dei movimenti e degli spazi perché essi possono fornire informazioni sul funzionamento della mente umana durante le rappresentazioni cinematografiche. 
     
    La visione di una pellicola provoca principalmente due meccanismi:
    da un lato l’identificazione, che induce ad immedesimarsi nel protagonista, dall’altro la proiezione per cui si attribuiscono agli attori pensieri ed emozioni che riguardano noi stessi.
    Al contempo la possibilità di eludere momentaneamente le barriere della realtà e di allentare le briglie della coscienza dà origine ad un processo catartico.
    Difatti durante quest’esperienza le pulsioni e le fantasie represse vengono evocate dal film, generando una sensazione di soddisfacimento nello spettatore che può così ripristinare il proprio equilibrio psichico.
     
    L’elemento suggestivo, inevitabile conseguenza delle produzioni cinematografiche, facilita l’accettazione delle componenti aggressive ed erotiche che spesso riempiono le scene, anche se in passato la censura ha posto dei limiti in tal senso.
     
    Il film consegue così un doppio esito: consente una sorta di liberazione mediante la catarsi ed influenza le credenze del soggetto attraverso la suggestione. Questi aspetti sono strettamente connessi in quanto promossi dagli stessi tratti del film, anche se il loro effetto sullo spettatore può essere più o meno accentuato in base alla personalità di quest’ultimo. 
     
    La potenza esercitata dal cinema può essere così intensa da innescare ciò che lo psicoanalista Cesare Musatti descriveva come “attacchi di angoscia cinematografica”: si tratta di una paura, apparentemente priva di motivazioni valide, prodotta dal film, che può addirittura sfociare in una vera e propria fobia nei confronti del cinema. 
    Tali presupposti implicano la possibilità di utilizzare il canale cinematografico all’interno di alcuni contesti. 
    Innanzitutto esso può essere sfruttato come ausilio nell’apprendimento, alternando le lezioni teoriche a brevi sequenze video che offrono uno squarcio pratico delle nozioni studiate, contribuendo oltretutto a mantenere un livello di attenzione elevato.
     
    In particolare per gli psicologi può assurgere ad una funzione formativa all’interno di laboratori esperienziali, sollecitando contenuti e sensazioni personali da condividere all’interno del gruppo.
    L’uso di questo mezzo comunicativo coinvolge fortemente il livello emotivo dei partecipanti, garantendo un confronto relazionale e non esclusivamente cognitivo.
     
    Inoltre i film possono essere usati anche a livello terapeutico, nella cosiddetta cineterapia, sia in setting collettivi che individuali.
    Nella terapia individuale si assegna un film da vedere a casa, per poi discutere nella seduta successiva delle ripercussioni interiori che esso ha indotto.
     
    In quella di gruppo si assiste alla proiezione insieme, durante la seduta, per poi lavorare sulle dinamiche attivate dalla visione.
    Ovviamente la scelta del film dipende dalle aree di trattamento, ed esso verrà scelto opportunamente dal conduttore.
    Questa modalità è positiva perché offre una metafora efficace per i pazienti, accessibile indipendentemente dal livello culturale, e permette l’emergere di materiale nuovo.
    Tale tecnica consente al paziente di esplorare situazioni personali significative pervenendo ad un maggiore insight terapeutico e rafforzando la sua alleanza con lo psicoterapeuta.
     
    Non è necessario aderire ad uno specifico modello terapeutico per applicare la cineterapia, essa è funzionale agli indirizzi più disparati: da quello psicodinamico al cognitivista, dal comportamentale al sistemico.
     
    Sarà il professionista a focalizzarsi sui concetti maggiormente in linea con il proprio approccio; ad esempio un cognitivista potrà soffermarsi sulle convinzioni disadattive mentre uno psicoterapeuta psicodinamico si concentrerà più sulla dimensione inconscia. 
     
    In definitiva  la cineterapia può essere uno strumento aggiuntivo, di facile prescrizione ed utilizzo, che arricchisce e facilita l’espressione individuale e che si adatta a qualsiasi tipologia di utente. 
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