La condizione di “salute” della persona è osservata oggi secondo il modello bio-psico-sociale (Engel, 1977; OMS, 1947) ossia inserita in un contesto e in “relazione” con l’ambiente.
La salute, in questa prospettiva, non equivale alla sola assenza di malattia (approccio bio-medico) ma fa riferimento all’equilibrio raggiunto tra fattori di rischio e di protezione, tra ostacoli e risorse di tipo individuale e ambientale.
Secondo la teoria del “reciproco determinismo” nell’ambito degli studi socio-cognitivi, la condotta dell’individuo è inoltre osservabile come la risultante di una interazione tra l’ambiente, la persona (i suoi processi interni) e il suo comportamento (A. Bandura, 1977, 1986, 1997, 1999).
In base a queste osservazioni è possibile considerare ad esempio la ricerca di alimenti e la regolazione del peso corporeo come un processo omeostatico, un equilibrio dinamico tra assunzione di calorie e dispendio energetico influenzate da fattori biologici, soggettivi e ambientali.
Date queste premesse risulta chiara la profonda importanza di andare a ricoprire degli “spazi” di dialogo inter-professionale che garantiscano alle scienze psicologiche un’adeguata presenza e cooperazione al fine di una maggiore efficacia degli interventi nel campo dei temi legati al comportamento alimentare.
La figura dello/a Psicologo/a dell’Alimentazione può entrare quindi in diretto contatto con figure del settore bio-medico e nutrizionale.
Nello specifico le aree della medicina che possono beneficiare ad esempio di un intervento multidisciplinare risultano essere quelle dove il comportamento alimentare rappresenta una variabile di mantenimento e/o causa del problema di salute.
La diabetologia, l’endocrinologia, la cardiologia, la gastroenterologia sono, come noto, aree della medicina che gestiscono aspetti del “comportamento” della persona spesso proprio attraverso il comportamento alimentare (stress e sindrome di adattamento, sindrome metabolica (SMET), patologie croniche infiammatorie, patologie autoimmunitarie…)
La figura professionale con competenze in psicologia dell’alimentazione presenta un approccio volto alla “creazione di un ponte” tra le esigenze della cura bio-medica e quella della persona che si trova a dover gestire ad esempio le prescrizioni di un regime alimentare.
Il comportamento e le emozioni diventano reazioni da gestire e comprendere al fine di un maggiore senso di “autoefficacia nei comportamenti di salute”.
Le nuove aree della promozione del benessere (wellness) pongono sempre più attenzione alla correlazione tra lo stile di vita (alimentazione, attività fisica e gestione dello stress) e i meccanismi omeostatici di regolazione fisiologica.
Non sorprende quindi il fatto di veder dialogare oggi le figure con competenze psicologiche insieme ai tecnici del mondo sportivo e riabilitativo al fine del raggiungimento di una “fitness” individuale ma anche di intervenire attraverso progetti di prevenzione dei comportamenti a rischio.
La sfida, iniziata da tempo (Arthur Frank, 1993 “Futilità e disinteresse nella professione medica per il trattamento dell’obesità” Journal of American Medical Association), è quella di mantenere alta l’attenzione e la promozione di metodologie, oggi largamente utilizzate nel settore della gestione del comportamento alimentare, che favoriscano una presenza degli psicologi nei settori della salute come rappresentanti concreti e riconoscibili di un vertice di osservazione imprescindibile della persona, il suo comportamento.
Articolo scritto dal dott. Filippo M. Jacoponi, docente nel corso “Psicologia del Comportamento Alimentare: tecniche di Counseling Psicologico e di Mindful Eating”, organizzato da Obiettivo Psicologia.