La disabilità è il risultato dell’interazione tra la condizione di salute e i fattori ambientali. Se si accetta questo punto di partenza si può pensare che la definizione prodotta nel corso della Convention delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità svoltasi nello scorso agosto non sia del tutto adeguata. Questo sostiene un commento pubblicato sull’ultimo numero della rivista The Lancet e firmato, tra gli altri, da Matilde Leonardi, neurologa dell’IRCCS "Carlo Besta" di Milano.
"La disabilità è una difficoltà nel funzionamento del corpo, è una difficoltà della persona e della propria socialità in uno o più contesti della vita", questa la nuova definizione di disabilità proposta dalle Nazioni Unite. "La definizione, dunque, si allarga e include non solo le ridotte o assenti funzionalità del corpo ma pone l’accento anche sull’importanza del contesto sociale come barriera o facilitatore", ha spiegato Matilde Leonardi. Attualmente l’ONU ha una definizione per le "persone disabili", ma è ancora in corso il dibattito sulla definizione di disabilità. Quella venuta fuori dalla Convention dello scorso agosto riduce, secondo la Leonardi, il concetto di disabilità solo alle condizione croniche ma non menziona affatto il livello di partecipazione sociale che può essere fondamentale per definire realmente una disabilità.
"Nell’articolo pubblicato sul Lancet quello che si propone", continua la Leonardi, "è di formulare una definizione che si ispiri alla International Classification of Functioning, Disability and Health (IFC) dell’OMS, la quale accanto alla malattia tiene conto del contesto in cui il malato si trova a vivere. Se si considera un individuo in modo avulso dal contesto la disabilità si riduce solo a una menomazione", arguisce la Leonardi. "Ci sono aspetti della disabilità che non devono essere considerati esclusivamente di competenza medica e sanitaria; fondamentale è tessere un tessuto sociale che non sia ostile alla vita dei disabili. Spostare l’attenzione dal disabile alla disabilità modifica e amplia la concezione stessa della diversa abilità: includendo anche i disagi psicologici, emotivi, sociali oltre che l’aspetto medico ci si accorge che anche la società deve farsi carico della disabilità.
"Un tempo si concepiva la disabilità come il momento in cui finiva la salute; quando si era disabili si veniva categorizzati in un gruppo separato. La nuova definizione, così come l’IFC, allontana da questo modello di pensiero. È un cambiamento radicale: dall’enfasi sulla disabilità delle persone ci si focalizza sulla salute di ogni aspetto della vita delle persone", ha concluso la Leonardi.
Fonte: Leonardi M et al. The definition of disability: what is in a name? The Lancet 2006;368:1219-21.
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