A chi non è mai capitato di addormentarsi con un pensiero fisso su un evento preoccupante, per poi ritrovarlo puntualmente al risveglio, o di dedicare ripetutamente tempo a cercare le cause e le conseguenze di un insuccesso? Soffermarsi su un problema per comprenderlo e provare a risolverlo può essere funzionale, ma non quando questa attività mentale diventa invadente, ricorrente e automatica, impedendoci di dedicarci ad altro e trasformandosi in una spirale negativa.
È in questi casi che si parla di rimuginio e ruminazione: il normale processo di auto-riflessione subisce una distorsione, con effetti dannosi sul benessere psicologico.
Rimuginio e ruminazione: le differenze
In psicologia si distingue tra:
- Rimuginio (worry): concatenazione di pensieri relativamente incontrollabili, attivati per prevedere o prevenire possibili eventi negativi e costruire soluzioni ipotetiche (focalizzazione sul futuro).
Esempio: “Se non consegno in tempo il progetto, il capo mi umilierà di fronte a tutti”. - Ruminazione (rumination): stile di pensiero ripetitivo e negativo incentrato sull’analisi del proprio malessere emotivo e di un evento passato, nel tentativo di comprenderne cause e conseguenze (focalizzazione sul passato).
Esempio: “Perché reagisco sempre in quel modo?”; “Perché mi sento così depresso?”.
In entrambi i casi si è in balìa di pensieri ripetitivi, intrusivi e difficili da controllare, relativi a situazioni percepite come difficili da affrontare. A questi pensieri si accompagna spesso un tono emotivo negativo e una scarsa fiducia nelle proprie capacità di superare l’impasse.
Il tratto comune è un’iperattivazione costante delle facoltà cognitive (come se la mente non si “spegnesse” mai!), che invece di aiutare nella risoluzione dei problemi, finisce per bloccarci e alimentare la negatività.
Il contributo di Susan Nolen-Hoeksema
Susan Nolen-Hoeksema, docente e ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Yale, ha esplorato approfonditamente il fenomeno della ruminazione (overthinking), definendolo come “la tendenza a rispondere a un disagio focalizzandosi sulle cause e conseguenze dei propri problemi, senza intraprendere nessuna azione concreta di problem solving”.
Attraverso i suoi studi, Nolen-Hoeksema ha sfatato il mito secondo cui “pensare continuamente alle cause risolve i problemi”. Chi rimugina tende infatti a incastrare ossessivamente i pensieri, generando confusione e amplificando la paralisi decisionale: più si tenta di “far combaciare” tutto, più la matassa si ingarbuglia. Chi rimugina di norma non passa all’azione (che potrebbe invece far scoprire come il problema non sia così insormontabile), e così il processo decisionale risulta ostacolato anziché facilitato.
Le illusioni alla base del rimuginio
- Illusione di risolvere il problema
Il rimuginore confonde la propria attività mentale con una strategia efficace di problem solving. In realtà, la mente “affollata” non consente di analizzare lucidamente la situazione nel suo complesso. - Illusione di controllare l’ansia
Pensando e ripensando, si ritiene di mantenere l’ansia a un livello moderato, evitando picchi di intensità. Questo pensiero, però, finisce per alimentare un circolo vizioso di cui il soggetto diventa prigioniero.
Più la persona attribuisce al rimuginio un valore positivo, più sarà difficile contrastarlo. Nei casi in cui il rimuginio sia vissuto come privo di utilità (detto “ascopico”), l’individuo ne percepisce l’inutilità, pur non riuscendo a interromperlo.
Effetti e rischi connessi al rimuginio
- Riduzione dell’attenzione e concentrazione: ciò rallenta la capacità di reagire ai problemi e di risolverli.
- Abbassamento dell’autostima: emergono sentimenti di inutilità e tendenza all’apatia.
- Aumento del rischio di stati ansiosi e depressivi: i ruminatori presentano una maggiore incidenza di sintomi depressivi, mentre i rimuginatori sono spesso segnati dalla paura di un esito negativo.
- Elevati livelli di cortisolo (l’ormone dello stress), con un conseguente maggior rischio cardiovascolare.
- Disturbi del sonno: la mente sovraccarica di pensieri influisce sulla qualità del riposo.
- Probabilità di comportamenti impulsivi e disfunzionali: il cibo o l’alcol possono diventare strategie di compensazione per placare gli stati emotivi negativi (Nolen-Hoeksema et al., 2007).
- Relazioni interpersonali insoddisfacenti: l’individuo tende a concentrarsi quasi esclusivamente sui propri problemi, trascurando i rapporti con gli altri.
Strategie per affrontare il rimuginio
La funzionalità e l’applicabilità delle seguenti indicazioni variano in base alla gravità del fenomeno. Tuttavia, alcuni suggerimenti utili possono essere:
- Dare un tempo al rimuginio
Confinare i pensieri ricorrenti a un momento preciso della giornata, in modo da limitare la loro invasività. - Dedicarsi ad attività piacevoli o stimolanti
L’esercizio fisico, gli hobby e altre occupazioni appassionanti aiutano a distrarre la mente e a spezzare il circolo dei pensieri ossessivi. - Praticare la meditazione
Tecniche meditative possono “spegnere” le aree cerebrali responsabili dell’emergere continuo di idee che distolgono dal qui e ora (come evidenziato in uno studio del Department of Psychiatry di Yale). - Passeggiare nella natura
Ricerca dell’Università di Stanford mostra una riduzione dei pensieri negativi in chi cammina in un parco o in un’area boschiva. Anche solo guardare immagini di paesaggi naturali produce effetti benefici, seppur transitori (studio dell’Università di Melbourne). - Allenare l’immaginazione
Il rimuginio è un processo prevalentemente verbale, astratto e privo di dettagli visivi. Invece, potenziare il pensiero visivo e sensoriale, per esempio immaginando scenari o situazioni alternative, può ridurre l’incidenza di pensieri intrusivi. - Cambiare prospettiva
Ricordare che la nostra visione della realtà è soggettiva e influenzata da paure e schemi mentali. Imparare a riformulare il problema da più angolazioni può impedire di fossilizzarsi solo sugli aspetti negativi. - Acquisire abilità di problem solving
Allenarsi alla flessibilità mentale e alla ricerca di soluzioni alternative consente di affrontare più efficacemente i problemi, limitando la tendenza al pensiero ripetitivo.
Quando il rimuginio diventa patologico
“Pensare” rientra in un processo fisiologico e umano. Tuttavia, quando diventa eccessivo e incontrollabile, il rimuginio assume connotati patologici. In tali circostanze può rendersi necessario un sostegno psicologico professionale, finalizzato a:
- Aiutare la persona a recuperare il controllo dei propri pensieri.
- Interrompere la spirale del pensiero ossessivo.
- Ristrutturare le convinzioni disfunzionali che alimentano il rimuginio (in particolare la credenza che sia utile o imprescindibile).
Un percorso terapeutico basato sulla modifica delle convinzioni distorte può favorire una maggiore consapevolezza e la riscoperta di strategie di coping più funzionali, migliorando il benessere psicologico e la qualità della vita del paziente.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Sara Belli, Psicologa clinica, aree di trattamento: Adulti e bambini; Accompagnamento al parto e all’evento nascita; Potenziamento cognitivo e sostegno psicologico a bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA); Sostegno alla genitorialità; Gestione delle problematiche alimentari in età evolutiva.