C’è una struttura latente che presiede alle scelte di consumo in settori sempre più vasti ed eterogenei. E’ il sistema di relazioni che questi mettono in essere con la nostra salute. Un filo rosso che traversa le merceologie più disparate anche quelle, a prima vista, difficilmente riconducibili a preoccupazioni salutistiche che il mondo delle imprese, a torto, sottovaluta. In primo luogo, al di là dei farmaci propriamente detti e dei rimedi naturali, l’alimentazione e tutto ciò che è attinente ad un’attività di movimento.
L’81% degli italiani – i dati sono dell’Osservatorio sul Benessere e la Salute che è stato presentato in questi giorni a Bologna – dichiara la centralità dell’alimentazione per star bene in salute, il 65 % un’attività di movimento. L’Osservatorio mette in risalto come lo stesso concetto di salute vada estendendosi ben al di là dei suoi ambiti tradizionali e stia, al tempo stesso, mutando di contenuto. Salute, infatti, è divenuto un concetto ombrello, polisemico: che spazia dall’assenza di patologie all’aspetto fisico, da attese di longevità ad una buona qualità della vita nella terza/quarta età al sentirsi pieno di energie, dall’eliminare i piccoli disturbi tanto frequenti nella vita quotidiana (dolori alle ossa 49%, influenza o raffreddore 43%, emicrania 40%, spossatezza 34%, disturbi digestivi, legati al sonno ecc) a una sensazione più generale di benessere. Benessere fisico e psicologico – sempre più due facce di una stessa medaglia – sono divenute quanto di più simile ad una concezione laica e immanente di felicità. Il cui raggiungimento diviene quindi telos da perseguire con grande determinazione: niente di più lontano da una concezione riduttiva o ipocondriaca della salute di vecchio stampo. Non è un caso che la stessa valutazione di corpo bello stia mutando. Bello viene considerato il corpo con un adeguato tono muscolare, che lasci trapelare energia e vitalità anche se ha qualche chilo in più.
Ma è soprattutto il modo di rapportarsi alla salute che è mutato. La delega al medico, allo specialista si affianca ad una crescente responsabilizzazione individuale, la medicina tradizionale ai rimedi della medicina alternativa o naturale. Da variabile indipendente iscritta in una concezione fatalistica, la salute cambia statuto per trasformarsi in variabile, entro certi limiti, dipendente. Su cui posso influire comportandomi in maniera virtuosa. Cosa debba intendersi poi per vita virtuosa varia sensibilmente da individuo a individuo perché ognuno si costruisce un proprio personale palinsesto salutista. Estremamente variegato: un’alimentazione vegetariana, i cibi biologici, i functional foods (cibi naturali arricchiti), gli integratori, forme anche consumistiche di farmaci tradizionali, l’agopuntura, lo shiatzu e via dicendo. Alla base di tutto ciò una transizione da una concezione della salute di cui ci si accorge quando la si perde ad una costante sensibilità ed attenzione, senza che assuma aspetti fobici, anche e soprattutto quando si sta bene. Per mettere a punto quelle pratiche che consentiranno di non ammalarsi ma anche di poterla vivere in maniera più compiuta.
E’ in questo senso che l’attenzione alla salute va contagiando sempre più merceologie ed aree del consumo. dal tipo di colazione ai tessuti e all’abbigliamento da indossare, il mezzo con cui andare a lavorare, il tipo di seduta in ufficio che risulti ergonicamente corretto, la postura più adatta, i luoghi dove effettuare il pasto e sino al momento di andare a letto. E anche oltre. Perché la qualità del sonno è percepita sempre più influente sul benessere: quindi che letto, cuscino, bevande per propiziare il sonno, il tipo di cena ecc.
La salute diviene così una sorta di comun denominatore che si spalma praticamente su tutte le nostre scelte di consumo: l’alimentazione, le vacanze, il tempo libero, l’auto, l’arredo della casa, le apparecchiature per cucinare, i condizionatori d’aria, i prodotti per il corpo e l’igiene.
Fonte: http://www.repubblica.it