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    Sempre più donne «costrette» a comprare

    Andare per vetrine, e magari entrare e visionare la merce. Infine, talvotla, comprare. Per qualcuno è un «dovere», per molti un passatempo piacevole. Ma per qualcuno è una vera e propria malattia. Si tratta di persone che provano addirittura disagio prima di un’acquisto perchè sanno che per loro non rappresenta uan scelta, ma un gesto «necessario» cui si sentono costretti, imprigionati in una vera e propria forma di dipendenza all’acquisto, definita dagli psichiatri «sindrome dello shopping compulsivo» dove compulsivo sta per «obbligato». E’ un impulso irrefrenabile e immediato a cui le «vittime» non possono sottrarsi.

    La tensione si allevia solo dopo aver consegnato i soldi (o la carta di credito) al comemrciante e aver ritirato la merce, spesso del tutto inutile. E’ facilissimo infatti che questi acquisti rimangano del tutto inutilizzati. Gli «shoppers» compulsivi sono in maggioranza donne, per le quali fare compere è un comportamento ripetitivo che lassorbe completamente, con conseguenze a volte catastrofiche sulla vita familiare, sociale e finanziaria. Non sono rari in cui viene perso addirittura il lavoro.

    OTTO ADULTI SU CENTO – Il fenomeno non è per nulla da sottovalutare. Come indicano le cifre fornite da Caritas italiana e Fondazione Zancan, che nel loro «Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta», denunciano come lo shopping compulsivo sia una forma di dipendenza che interessa tra l’1 e l’8% della popolazione adulta. Ma secondo alcuni autori il 90% dei consumatori effettua periodicamente acquisti compulsivi. Non solo, intervistati su questo tema due quinti di un campione di popolazione adulta si definisce «consumatore compulsivo».

    LE CAUSE – «Sono tante le cause che possono provocare questa patologia, per esempio difficoltá affettive, depressione, la necessitá di riempire con cose materiali dei propri vuoti personali, ansia e fuga dalle proprie responsabilitá» spiega Antonella Ciardo psicologa e psicoterapeuta alla Societá italiana di intervento sulle patologie compulsive, organismo che si occupa di informazione, prevenzione e terapia, che in origine si rivolgeva ai soli dipendenti da gioco d’azzardo ma da parecchi anni, ormai, si è aperto anche agli altri tipi di dipendenze senza sostanze. «Ne sono affette soprattutto donne, di etá compresa tra i 35 e i 45 anni – prosegue la Ciardo – prodotti prediletti i vestiti, ma non solo e comunque ci stiamo sempre più rendendo conto che anche nei ragazzi c’è una predisposizione allo shopping compulsivo soprattutto riguardo l’acquisto di cellulari. Si parla di’predisposizione, perchè generalmente i giovani non dispongono di soldi propri, ma il problema può diventare grave quando raggiungono un’indipendenza economica».

    LE CURE – «Se ne accorgono e si rivolgono a noi i malati ma soprattutto la famiglia – afferma ancora la Ciardo – e quasi sempre quando si raggiungono disastri finanziari. Dopo la diagnosi, iniziamo il trattamento, che consiste in una cura farmacologica con medicinali che diminuiscono l’ansia e in un’importante terapia, individuale e di gruppo, che coinvolge anche partner e familiari. Si cerca di capire le cause, le dinamiche che hanno causato questa dipendenza e si attuano delle strategie
    Internet rappresenta una nuova tentazione per chi è affetto da shopping compulsivo (Ap)
    comportamentali». Ai malati, per esempio vengono sottratte le carte di credito perchè, afferma la Ciardo, «devono recuperare il valore del denaro, che hanno perso con la difficoltá di gestire in propri soldi». La terapia individuale dura all’incirca un anno e mezzo, ma la psicologa spiega che non si parla mai di «una guarigione», perchè una possibile ricaduta è sempre dietro l’angolo, soprattutto dopo i primi 6- 7 mesi dalla fine delle sedute; per questo motivo, nonostante il distacco dalla terapia, il paziente rimane sempre in contatto con il gruppo. Il trattamento è insomma uguale a quello delle altre più tipiche dipendenze senza sostanze.

    TUTTE LE DIPENDENZE INSIEME – Per questo motivo nel Sert della Asl di Arezzo è stato attivato un anno fa un unico gruppo chiamato «Gand», per gioco d’azzardo e nuove dipendenze. «Nel Gand- riferisce Fiorenzo Ranieri, responsabile del centro documentazione e ricerca sul fenomeno delle dipendenze patologiche del Ser.t. di Arezzo – confluiscono dipendenti da gioco d’azzardo, da shopping compulsivo, da rischio estremo e da internet». D’altra parte «Tutte le dipendenze senza sostanze hanno matrici comuni e quindi vengono trattate in modo simile – afferma Vincenzo Marino direttore del dipartimento delle dipendenze alla Asl della provincia di Varese – noi qui a Varese abbiamo attivato un centro per dipendenze comportamentali da gioco d’azzardo e da tecnologie digitali. All’interno di questo centro vengono curati anche malati affetti da shopping compulsivo, ma non esistono in Italia servizi pubblici specifici per questo tipo di patologia». «In realtá – sottolinea Marino- non avrebbe neppure senso crearne. Ha senso distinguere tra dipendenze illegali (per esempio la tossicodipendenza) e dipendenze legali (per esempio da tabacco, da gioco) che coinvolgono persone integrate nel tessuto sociale, ma creare tanti centri per le dipendenze specifiche sarebbe poco funzionale, si tratta in tutti i casi di dipendenze comportamentali».

    LE MEDICINE NON BASTANO – Marino sfata anche la possibilitá di curare la dipendenza da shopping semplicemente assumendo medicine. «Si è notato – spiega – che l’assunzione di medicinali serotoninici, che aumentano il tasso di seratonina nel sistema nervoso, riducono e migliorano il controllo sullo shopping compulsivo. Ma la sola assunzione di questi farmaci o di antidepressivi non risolve il problema, è necessaria la terapia». Marino ha raccontato che un suo paziente, shopper compulsivo, si era rivolto a lui quando era arrivato ad una situazione disatrosa: aveva comprato una quantitá smisurata di automobili, si era indebitato ed era ricercato dalle finanziarie.
    Proprio sull’aspetto economico punta l’attenzione il Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta, intitolato «Vuoti a Perdere». Il rapporto spiega infatti, che ormai sono cambiati i concetti di rischio, esclusione, povertá e che mentre fino a qualche decennio fa, fenomeni di patologia sociale interessavano le parti più a rischio della popolazione, quelli con disagi sociali ed economici alle spalle, ora situazioni di disagio colpiscono la maggioranza, non la minoranza della popolazione con le dipendenze senza sostanze, come lo shopping compulsivo.

    CATEGORIE SOCIALI – «Spesso sono affette da shopping compulsivo – afferma Tiziano Vecchiato, psicosociologo, direttore scientifico della fondazione Zancan e curatore del rapporto – persone che non hanno grandi disponibilitá economiche, la cui reazione patologica si manifesta per carenze di altra natura. Questa dipendenza non pesa solo sulla persona ma su tutta la sua famiglia». «La decisione di intitolare il rapporto »Vuoti a perdere« – prosegue Vecchiato – è nata proprio dal fatto che spesso queste persone e le loro famiglie sono abbandonati a loro destino. Visto che queste patologie non sono ancora ricomprese nei livelli essenziali di assistenza, i malati e le loro famiglie pur incapaci di farcela da soli, non trovano la capacitá delle istituzioni di dare risposta ai loro bisogni».

    INTERNET – Va poi sottolineato che negli ultimi anni con il moltiplicarsi delle opportunitá di fare acquisti, lo shopping compulsivo si è diffuso a macchia d’olio. Basti pensare alla possibilitá di comprare quantitá smodate e differenziate di prodotti via internet, comodamente seduti sul divano di casa. Inoltre le vendite telefoniche, quelle televisive ed ancora la possibilitá di rateizzare i pagamenti. Insomma, un autentico bombardamento ed una montagna di tentazioni per le persone affette da questo tipo di patologia.

    Fonte: http://www.corriere.it

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