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    Sorpresa, i videogiochi fanno bene

    Una madre ha simulato il furto. Poltrona rovesciata, oggetti per terra e spazio vuoto sul carrello della Playstation. Un’ altra ha allestito un funerale per la «portatile», con marcia funebre fino in cantina.
    Un papà, invece, ha nascosto il gioco incriminato, è partito per lavoro e ora non ricorda più dove l’ ha messo. Non scene da serie tv, ma fatti realmente accaduti. A Milano. Definiamole tattiche di sopravvivenza, estreme e poco furbe, di genitori esasperati dalla dipendenza dei figli dai videogiochi. I risultati? Controproducenti.

    In Italia il videogioco è considerato «cultura di serie B» e fa paura. Così le famiglie giocano in difesa. Vige la restrizione. No, e basta. Anacronistico. «Pura illusione», spiega Manuela Cantoia, docente di Psicologia generale della Cattolica. «Chiudi la porta e ti entra dalla finestra. Tuo figlio/a non ha i videogiochi? Ce l’ ha il compagno di banco, di squadra, il vicino di casa, con cui gioca. Meglio essere meno rigidi e snob e decidere di tuffarsi nel mondo di Supermario e dei Pokemon. Per il bene dei bambini». La docente conosce il tema: dal 2000 tiene incontri «d’ istruzione per l’ uso» per i genitori delle scuole elementari e medie di Milano e provincia. «Rispetto al passato, oggi fatico a stare dietro alle richieste».

    Cambia la consapevolezza dei genitori. Per fortuna. Perché i dati Aesvi, Associazione editori sviluppatori videogiochi italiani, sono allarmanti. Un’ ora e mezza è il tempo medio di gioco dei minori italiani, ma un bambino su quattro gioca più di tre ore. Non solo. I tre quarti dei preadolescenti hanno avuto in mano un gioco violento. E ancora: l’ età a cui si inizia è scesa vertiginosamente.

    A cinque anni molti bambini, soprattutto se hanno fratelli più grandi, giocano regolarmente. I fratelli litigiosi fanno squadra Doug Gentile è uno psicologo della Iowa University. Uno dei massimi esperti in questo campo, ospite nelle università di tutto il mondo, dall’ Asia all’ Australia all’ Europa. Mercoledì scorso era in Cattolica per un seminario su nuove tecnologie ed età evolutiva. «Basta parlare di videogiochi come strumenti cattivi», ha detto con semplicità. «Oggi bisogna imparare a distinguere: alcuni giochi possono essere ottimi insegnanti, altri avere ricadute drammatiche». «Inutile demonizzare», conferma Cantoia, «meglio puntare all’ uso intelligente». Per capire come fare, l’ abbiamo seguita. All’ incontro promosso dall’ associazione «Sei Casati» alla scuola primaria Casati.

    Nove di sera, cinquanta genitori. La docente inizia spiegando le ragioni del successo dei giochi elettronici. «Soddisfano il desiderio di autonomia e fanno sentire competenti». Racconta che un buon video può essere una delle tante attività del tempo libero, a patto di un utilizzo corretto: non a lungo e con il target d’ età giusto. Poi snocciola le potenzialità: influenza positiva sul piano relazionale perché spinge alla collaborazione, «fratelli che si scannano fanno squadra»; aiuto a livello emotivo, «impari a vincere e perdere»; miglioramento di coordinazione e velocità. La platea si distende e lei chiarisce che giochi sbagliati e violenti provocano effetti dannosi. «Disturbi del sonno, aumento dell’ aggressività, incapacità di riconoscere la violenza». E qui mamme e papà si fondono in un brusio diffuso.

    «Gli strumenti per aiutare i nostri figli non mancano: le indicazioni Pegi, i trailer su YouTube, i siti dei giochi (vedi box). Poi c’ è il nostro atteggiamento», conclude, «possiamo stare attenti a cosa vedono e dare regole. O spingerci oltre, fino a giocare con loro. Per capirli e diventare complici». Uscendo i genitori commentano: «Il videogioco come palestra di apprendimento: confortante», ammette Federico Bianchi, papà di un maschio di nove e uno di dodici. «Ho anche capito che c’ è da rimboccarsi le maniche». «Eh sì», gli fa eco Pietro Casati, che ha due gemelli undicenni, «se i bambini imparano a fare un sacco di cose che rimangono confinate ai videogiochi perché non c’ è consapevolezza, è chiaro che tocca a noi aiutarli»». 

    I dati 3 Secondo i dati Aesvi, Ass. editori sviluppatori videogiochi italiani, un’ ora e mezza è il tempo medio di gioco dei minori italiani; un bambino su 4 gioca più di tre ore. Tre quarti dei preadolescenti hanno giocato a un gioco violento. L’ età a cui si inizia a giocare è scesa a 5 anni per chi ha fratelli più grandi le ore al giorno di videogioco di 1 bambino su 4 in Italia D. Gentile, psicologo Finito il tempo dei divieti. Occorre puntare all’ uso intelligente F. Bianchi, papà «Confortante sapere che sono una palestra di apprendimento» Pietro Casati, papà «Ma le abilità restano confinate nel gioco.

    Articolo di Ghezzi Marta,tratto da: http://www.corriere.it/

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