I contesti clinici e di ricerca richiedono sempre più una valutazione diagnostica che sia in qualche modo oggettivabile con dei numeri.
Ciò per un duplice motivo: da un lato la necessità di raccogliere dati con fini di ricerca scientifica; da un altro per sostenere mediante un elemento “numerico” la valutazione psicologica effettuata mediante colloquio.
Infatti non è neppure pensabile di affidare unicamente ad un reattivo psicometrico la valutazione psicodiagnostica: la complessità psicologica e psicosociale dell’essere umano è difficilmente riducibile ad una categoria diagnostica, ancor meno al risultato di un test.
Eppure abbiamo bisogno dei test, anche solo per documentare il nostro lavoro e i risultati ottenuti, in un contesto che sempre più richiede l’evidenza della malattia e del suo trattamento.
Nella valutazione dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), così come in altri contesti clinici, i reattivi psicometrici hanno pertanto tre funzioni particolari:
- Sono utilizzati come strumenti di screening: servono cioè per vedere se, entro un certa popolazione che intendiamo studiare, siano presenti soggetti potenzialmente affetti da disturbi alimentari.
- Sono utilizzati come misura degli effetti delle terapie nel tempo: gli stessi soggetti vengono testati più volte per vedere se la terapia che stanno affrontando funziona e in che misura.
- Sono utili per le indagini epidemiologiche e per la ricerca.
Questo terzo aspetto, in verità, sembra essere il più importante dal momento in cui la ricerca psicosociale non può fare a meno dei numeri ottenuti nei risultati dei test.
Questo breve contributo non intende certo costituire la base per l’utilizzo dei test nel campo dei disordini alimentari, ma si propone piuttosto come una prima lettura per orientarsi in un ambito alquanto vasto (Allison, 1995; Petty et al., 2000) in cui a fianco di alcuni strumenti “celebri” ve ne sono altri meno utilizzati.
Occorre infine ricordare che nella valutazione dei DCA non possiamo limitarci a misurare il comportamento alimentare, che è più opportuno valutare nel colloquio, ma anche alcuni tratti di personalità ed elementi psicopatologici di rilievo (a tal proposito si pensi che delle undici scale dell’EDI-2, lo strumento più utilizzato nei DCA, solo due misurano direttamente un aspetto direttamente legato all’alimentazione).
Ci riferiamo in tal senso soprattutto alle tematiche ansioso-depressive e di accettazione dell’immagine corporea.
Questionari per la valutazione del comportamento alimentare
Si tratta di questionari che non mirano ad un inquadramento diagnostico (ovvero non sono stati pensati avendo in mente uno specifico disturbo), né offrono propriamente la possibilità di differenziare soggetti con disturbi del comportamento alimentare da soggetti senza tali disturbi.
Fra questi i più diffusi ed utilizzati sembrano essere il TFEQ ed il DIET.
Il TFEQ, Three Factor Eating Questionnaire (Stunkard & Messick, 1985) è un questionario autosomministrato, composto da 51 item, che misura tre fattori del comportamento alimentare: restrizione, ovvero la tendenza a controllare coscientemente ed a ridurre l’introito calorico; disinibizione, tendenza a perdere il controllo sull’assunzione degli alimenti; fame, intesa come percezione cosciente della sensazione di fame.
Si può facilmente vedere come il primo fattore possa essere facilmente associato ad una patologia anoressico-bulimica, così come il secondo fattore lo sia nei confronti di un disturbo di tipo BED. Il target di riferimento è la popolazione generale, per cui questo strumento può essere un buon strumento di screening.
Il DIET, Dieter’s Inventory of Eating Temptations (Schlundt & Zimering, 1988) è un questionario autosomministrato che misura la competenza comportamentale del soggetto in sei situazioni: il mangiare in eccesso, resistenza alle tentazioni, scelta dei cibi, rinforzo sociale, il mangiare a seguito di emozioni negative e l’attività fisica. Chi compila il questionario deve rispondere tenendo conto di quante volte riesce ad evitare i comportamenti indesiderati, che producono un aumento di peso. Più che dare un indicazione di patologia alimentare, quindi, il questionario fornisce indicazioni su quanto il soggetto sia capace o non capace di gestire il proprio comportamento alimentare.
Questionari per la valutazione dei disturbi del comportamento alimentare
Un’altra categoria di questionari riguarda la valutazione di una specifica problematica alimentare.
Spesso sono costruiti avendo in mente i criteri diagnostici proposti nel DSM e sono pertanto utilizzati come supporto per la diagnosi: la possibilità di indirizzare un paziente verso un determinato tipo di intervento terapeutico dipende molto infatti da come è stata effettuata la diagnosi, ed un test può essere un valido supporto clinico.
Inoltre un dato statisticamente misurabile e confrontabile tornerà più volte utile nel corso di follow-up a termine del trattamento, e di verifiche nel corso dello stesso.
Molti sono i test disponibili in questo campo, al punto che ci si imbatte nel paradossale problema di non sapere quale scegliere.
Il problema in realtà è solo di facciata: come in ogni campo, anche qui esistono test e questionari che godono di maggior prestigio e vengono utilizzati più frequentemente di altri. Fra i test più diffusi troviamo il BITE, la BES, l’EDE-12, l’EAT e l’EDI-2.
Il BITE, Bulimic Investigatory Test Edinburgh (Henderson & Freeman, 1987) è un test autosomministrato costituito da 33 item che formano due sottoscale, la Symptom Scale che misura la presenza di sintomi bulimici, e la Severity Scale che ne misura la gravità.
Tutti i criteri di diagnosi presenti nel DSM-IV sono coperti negli item del BITE, abbuffate, strategie di compensazione, paura di ingrassare, pensiero ossessivo del cibo. La diagnosi di Bulimia Nervosa può essere sospettata se si ottiene un punteggio totale, superiore a 25.
La BES, Binge Eating Scale (Gormally et. al, 1982) è una scala costruita avendo in mente la problematica di eccessiva alimentazione che avviene durante le abbuffate nei soggetti obesi. Misura la gravità del sintomo binge eating a livello comportamentale ed esamina i sentimenti che accompagnano l’episodio, in particolare il senso di perdita di controllo ed il senso di colpa. I dati che emergono da questa scala non sono sufficienti ad effettuare una diagnosi di Disturbo da Alimentazione Incontrollata in quanto non si indaga la frequenza degli episodi, ma forniscono un valido punto di partenza per ulteriori approfondimenti in sede di colloquio.
L’EAT, Eating Attitude Test (Garner & Garfinkel, 1979) è un test autosomministrato composto da 40 item, che misura specificamente i sintomi di Anoressia Nervosa. Viene considerato un test dalle eccellenti qualità sia diagnostiche che prognostiche e presenta un elevato indice di correlazione con altri strumenti (Petty et al., 2000).
La particolarità dell’EDE-12, Eating Disorder Examination (Fairburn & Cooper, 1987; Fairburn & Cooper, 1993), consiste nel fatto che non è un test, ma un’intervista semistrutturata che indaga i comportamenti e gli atteggiamenti nei confronti dell’alimentazione, e può essere sottoposta sia a popolazione clinica che non clinica. Si compone di quattro sottoscale: restrizione, preoccupazioni relative all’alimentazione, preoccupazioni relative al peso e preoccupazioni relative alle forme del corpo. Una serie di item ha funzioni diagnostiche, per Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e BED.
L’EDI-2 (Garner, 1991) è indubbiamente il questionario più utilizzato nel mondo per la valutazione dei disturbi del comportamento alimentare. Si compone di 8 scale più ulteriori 3 scale provvisorie, per un totale di 91 item. Fra le sue scale, due sole misurano direttamente il comportamento alimentare (Impulso alla Magrezza e Bulimia) mentre le altre scale riguardano il rapporto col corpo, i vissuti di inadeguatezza ed altri ambiti più propriamente sociali.
Da ciò si evince la necessità di guardare a chi soffre di DCA non unicamente considerando quello che passa o non passa attraverso la sua bocca, ma soprattutto a quelli che sono i tratti e le caratteristiche di personalità, la qualità delle relazioni sociali e, soprattutto, il grado di accettazione di sé.
Questionari per la valutazione dei tratti di personalità e dei sintomi psicopatologici
Spesso i soggetti affetti da Anoressia, Bulimia, BED ed anche Obesità presentano dei tratti psicopatologici facilmente riconoscibili.
Si va dai disturbi a carico dell’immagine corporea e della rappresentazione di sé, a tematiche di tipo depressivo, ossessivo-compulsivo, disturbi ansiosi, problemi di dipendenza da sostanze fino a veri e propri disturbi di personalità.
L’esistenza di queste caratteristiche rende quantomeno prudente una valutazione psichiatrica, da effettuarsi mediante appositi colloqui ed eventualmente appositi strumenti psicometrici.
Test che godono di molta popolarità, per la loro semplicità di impiego e la lunghezza contenuta, sono la scala SCL-90, il BDI, e l’EDI-SC. Ritengo che un questionario come l’MMPI, al di là dell’estrema lunghezza, sia sufficientemente conosciuto e studiato, pertanto non se ne farà qui alcun riferimento.
La Derogatis Symptom Checklist, (Derogatis, 1977) è una scala autosomministrata composta da 90 item divisi a loro volta in nove sottoscale.
L’intento con cui viene utilizzata è quello di evidenziare i tratti di personalità che possano far supporre la presenza di disturbi psichiatrici. Il questionario ha dimostrato buona attendibilità ed una buona capacità di misurare i cambiamenti nel corso della terapia.
Fra le sottoscale che lo compongono vi è quella che misura i sintomi depressivi: la depressione è infatti spesso presente sia in pazienti con disturbi dell’alimentazione sia in pazienti obesi, per cui valutarne la presenza è utile per intraprendere delle iniziative specifiche. Tuttavia, se si volesse approfondire la tematica depressiva, è possibile fare affidamento ad un altro questionario.
Il Beck Depression Inventory (Beck, 1978) è un questionario specificamente costruito per rilevare la presenza di sintomi depressivi. Valuta essenzialmente gli aspetti cognitivi della depressione, quali pessimismo, sfiducia, autoaccusa e tristezza. Ovviamente non è possibile effettuare una diagnosi basandosi unicamente su tale questionario, ma è possibile mediante questo monitorare l’intensità e la variazione nel tempo di tali quadri depressivi.
Infine l’EDI Symptom Checklist (Garner, 1991) che è una forma di autovalutazione indipendente dall’EDI. Essa fornisce indicazioni sulla frequenza di specifici sintomi di disturbi dell’alimentazione quali abbuffate, vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici e pillole, esercizio fisico ed inoltre dati riguardanti il peso, l’anamnesi del peso e delle mestruazioni. Ancora una volta bisogna ricordare che non è possibile fare diagnosi basandosi unicamente su di un questionario, ma rappresenta solo un ausilio per il clinico.
BIBLIOGRAFIA
Allison D.B. (a cura di ) (1995): Handbook of assessment methods for eating behaviours and weight-related problems, Thousand Oaks CA: Sage
Beck A.T. (1978): Beck Depression Inventory, Philadelphia: Center for Cognitive Therapy
Cooper Z., Fairburn C.G. (1987): The Eating Disorder Examination: a semi-structured interview for the assessment of the specific psychopathology of eating disorders, International Journal of Eating Disorders, 6, 1-8
Derogatis L.R. (1977): Symptom Cecklist-91 Manual, Baltimore: John Hopkins University Press
Fairburn C.G., Cooper Z. (1993): The Eating Disorder Examination (12th edition), In: Fairburn C.G., Wilson G.T. (a cura di): Binge Eating: nature, assessment and treatment, New York: Guilford Press
Garner D.M., Garfinkel P.E. (1979): The Eating Attitude Test: an index of the symptoms of Anorexia Nervosa, Psychological Medicine, 9, 273-279
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Gormally J., Black S., Daston S., Rardin D.(1982): The assessment of binge eating severity among obese persons, Addictive Behaviors, 7, 47-55
Henderson M., Freeman C.P. (1987): A self-rating scale for bulimia: the BITE, British Journal of Psychiatry, 150, 18-24
Petty L.C., Rosen E.F., Michaels S. (2000): Nineteen Eating Disorders Scales: comparison by focus, ease, response format and readability, Eating Disorders, 8, 311-329
Schlundt D.G., Zimering R.T. (1988): The Dieter’s Inventory of Eating Temptation: a measure of weight control competence, Addictive Behaviours, 13, 151-164
Stunkard A.J., Messick K.S. (1985): The Three Factor Eating Questionnaire to measure dietary restrain, disinhibition and hunger, Journal of Psychosomatic Research, 29, 71-83