Iperconnessi dovunque ci si trovi: sotto l'ombrellone, su un aereo in quota, in una baita di montagna, al museo.
I turisti contemporanei sfruttano al massimo web e applicazioni per organizzare il viaggio, spesso inseguendo la chimera del low cost, ma la tendenza è quella a non rinunciare alla "tecno-dipendenza" anche una volta in vacanza. Cercare di staccare la spina, e di fare tabula rasa di e-mail e tweet, non è facile per tutti.
Da un lato proliferano hotel e resort che propongono formule vacanza che includono anche corsi e tecniche di rilassamento per "disintossicarsi" dalla tecnologia, dall'altro ci sono strutture che fanno di strumenti e applicazioni digitali, con WiFi gratis garantito, un fiore all'occhiello della propria offerta turistica. Se per molti una vacanza offline è un desiderio che si avvera, per altri provarci può essere addirittura controproducente.
Ne è convinto Tonino Cantelmi, professore di Psicologia dello sviluppo all'Università Lumsa di Roma. "Quello dei dispositivi tecnologici – spiega – è un mondo talmente pervasivo che ci accompagna sempre. Durante le vacanze li utilizziamo semmai ancora di più per rimanere in contatto con i propri cari, per incontrare persone nuove". Insomma in vacanza "non è possibile alcuna disintossicazione tecnologica: chi è tecnologicamente un immigrato digitale o un nativo digitale continuerà ad esserlo".
In taluni casi cercare di staccare la spina può essere addirittura controproducente. "Chi vive la tecnologia digitale come parte della propria identità – aggiunge Cantelmi – non si pone questo problema e anche in ferie continuerà a cercare la copertura internet, ad 'ammazzare' i tempi morti di aereo e code con i dispositivi elettronici che ha a disposizione. 'Chiudere' con la tecnologia può in certi casi acuire le difficoltà, far litigare col partner, rende i genitori più irritabili".
I più "dipendenti" non sono bambini e ragazzi, che sebbene siano sempre più spesso accompagnati da smartphone e videogiochi portatili "sono anche i più disponibili a vivere attività alternative", ma coloro che hanno fra i 35-40 anni e gli ultra cinquantenni. Gli hotel "detox"? "Sono una proposta fuori dalla realtà – afferma Cantelmi -, cavalcano una forma di tecnofobia ma sono anacronistici. Ha più successo chi invece propone forme di alta tecnologia, e non la vacanza offline".
Non tutti gli esperti però concordano. Federico Tonioni, responsabile dell'ambulatorio per le dipendenze da internet del Policlinico Gemelli di Roma, spiega che "staccare dai supporti multimediali, per chi ci lavora ininterrottamente, vuol dire riposarsi davvero". La "dipendenza da internet" è una cosa seria, spiega Tonioni. Chi non soffre della dipendenza vera e propria "deve essere aiutato a scoprire che trascorrere qualche giorno senza supporti digitali non provoca conseguenze drammatiche. Se per qualche momento non siamo reperibili – sottolinea – non succede nulla".
I cellulari e gli altri dispositivi hanno "ridotto la nostra capacità di attendere", spiega Tonioni, e ci "hanno resi compulsivi" perché nell'immediatezza delle comunicazioni digitali ogni questione "viene posta come urgente" anche se in realtà non lo è. In questo senso la vacanza offline è non solo possibile, ma anche auspicabile perché si ha modo di "ritrovare pulsioni, anche fisiche, che durante il lavoro ci si dimentica, e dopo un giorno o due di ansia e depressione perché non si può controllare posta, Facebook e altro ci si riposa davvero", dice Tonioni.
Una vacanza meno "connessa" può essere poi lo stimolo per recuperare un rapporto più sereno e più sano con la tecnologia anche quando si torna a casa.
Articolo tratto da: http://www.ansa.it