Cos’è l’ADHD?
Il disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD), conosciuto anche con l’acronimo italiano DDAI, è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da un insieme complesso di sintomi che compromettono in misura variabile l’adattamento del bambino, in particolare nei contesti scolastici e sociali.
Classificazione diagnostica
L’ADHD è classificato nei principali manuali diagnostici in modo leggermente diverso:
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Nel DSM-5 (che ha sostituito il DSM-IV), il disturbo è incluso nei disturbi del neurosviluppo ed è suddiviso in tre presentazioni: con predominanza di disattenzione, con predominanza di iperattività/impulsività, o combinata.
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Nell’ICD-10, invece, è incluso tra i disturbi ipercinetici.
In entrambi i casi, i criteri diagnostici richiedono l’esordio precoce (prima dei 12 anni nel DSM-5), la persistenza dei sintomi per almeno sei mesi, la presenza in almeno due contesti (scuola, casa, attività sociali) e un impatto clinicamente significativo sul funzionamento quotidiano.
Manifestazioni cliniche dell’ADHD
Quando è presente l’iperattività
L’iperattività è spesso il sintomo più evidente. Già nella scuola dell’infanzia il bambino può mostrarsi costantemente agitato, incapace di sostenere l’attenzione su un’attività, incline a interrompere frequentemente le attività altrui, a correre o arrampicarsi in situazioni inopportune, e a non rispettare regole comportamentali condivise.
Questi segnali conducono spesso a una segnalazione precoce da parte degli insegnanti, che può portare la famiglia a consultare uno specialista dello sviluppo. La co-occorrenza di impulsività e aggressività aggrava ulteriormente il quadro, compromettendo l’adattamento scolastico e familiare.
Quando l’iperattività non è presente
Nel sottotipo prevalentemente disattento, il bambino può presentarsi come svagato, lento nell’esecuzione dei compiti, spesso distratto o smemorato. A differenza dei soggetti iperattivi, questi bambini attirano meno l’attenzione e spesso arrivano alla diagnosi in ritardo, solo quando il rendimento scolastico cala in modo significativo.
La compromissione non riguarda l’intelligenza generale, ma piuttosto la gestione delle risorse attentive. Le difficoltà emergono in particolare nei compiti lunghi, poco motivanti o con richieste organizzative complesse. Questo quadro può essere erroneamente interpretato come svogliatezza o disinteresse, ritardando l’intervento.
Conseguenze sul piano scolastico, sociale e familiare
Il bambino con ADHD, specie se non riconosciuto o adeguatamente gestito, può andare incontro a:
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Scarso rendimento scolastico
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Conflitti con insegnanti e genitori
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Isolamento sociale e difficoltà nelle relazioni con i pari
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Disregolazione emotiva, rabbia e frustrazione
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Sviluppo di disturbi esternalizzanti o internalizzanti (ansia, depressione)
Fortunatamente, la crescente diffusione di corsi di formazione per insegnanti e famiglie ha migliorato la sensibilità diagnostica e la gestione collaborativa del disturbo.
Il ruolo dello psicologo nella diagnosi e nell’intervento
La valutazione psicologica dell’ADHD si articola in più fasi:
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Colloqui clinici con genitori e insegnanti
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Checklist comportamentali standardizzate
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Osservazione diretta del comportamento in classe
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Somministrazione di test neuropsicologici per la valutazione di attenzione, memoria di lavoro e funzionamento esecutivo
Una volta formulata la diagnosi, lo psicologo può attivare diversi livelli di intervento:
Parent training
Programmi strutturati per supportare i genitori nella gestione educativa del comportamento del figlio, con l’obiettivo di ridurre le tensioni familiari e migliorare la compliance alle indicazioni terapeutiche.
Intervento con gli insegnanti
Supporto alla progettazione di strategie psicoeducative, definizione di piani didattici personalizzati (PDP) e interventi comportamentali mirati a contenere la disattenzione e promuovere l’autoregolazione.
Intervento diretto con il bambino
Attraverso attività ludico-didattiche o training cognitivi, lo psicologo aiuta il bambino a migliorare l’attenzione sostenuta, la capacità di inibizione e la gestione del tempo e delle attività scolastiche.
Il trattamento farmacologico
In Italia è autorizzato l’uso di farmaci specifici per l’ADHD, come il metilfenidato, la cui prescrizione è riservata al medico specialista in neuropsichiatria infantile. L’intervento farmacologico, pur oggetto di discussione, può rappresentare un complemento efficace agli interventi psicoeducativi nei casi di maggiore gravità.
Conclusioni
L’ADHD è un disturbo multifattoriale e complesso che richiede un approccio integrato, precoce e condiviso tra psicologi, neuropsichiatri, insegnanti e famiglie. Il riconoscimento tempestivo dei sintomi e l’attivazione di interventi mirati possono migliorare significativamente il funzionamento scolastico, familiare e sociale del bambino o ragazzo coinvolto.
Articolo scritto dalla dr.ssa Graziella Bertelli
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Bibliografia essenziale
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Cornoldi, C., Gardinale, M., Masi, A., Pettenò, L. (1996). Impulsività e Autocontrollo. Trento: Erickson.
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Fedeli, D. (2007). Kiwi. Firenze: Giunti O.S.
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Vio, C., Marzocchi, G.M. (1999). Il bambino con Deficit di Attenzione/Iperattività. Trento: Erickson.
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Chiarenza, G.A., Bianchi, E., Marzocchi, G.M. (2002). Linee guida del trattamento cognitivo-comportamentale dell’ADHD. SINPIA.
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Conferenza Nazionale di Consenso (2003). Indicazioni e strategie terapeutiche per bambini e adolescenti con ADHD. Cagliari.