I falsi ricordi sono stati studiati a partire dagli anni ’70 dalla psicologa Elizabeth Loftus, che riuscì a dimostrare la possibilità di alterare la memoria nei soggetti sperimentali tramite la suggestione.
Uno dei primi meccanismi individuati responsabile di questo fenomeno è il misinformation effect (effetto dell’informazione sbagliata), che consiste nel fornire elementi non veritieri rispetto ad un evento a cui l’individuo ha assistito realmente: egli finirà per convincersi della veridicità di quegli aspetti erronei e rielaborerà la propria memoria adattandola ad essi.
Il passo successivo è stato quello di capire se possono essere mistificati solo alcuni particolari o se è possibile generare un ricordo di una vicenda mai avvenuta.
Durante una ricerca ai partecipanti è stato mostrato un libretto che riportava alcuni episodi della loro vita (forniti dai parenti di quest’ultimi) accompagnati da un falso ricordo, relativo ad un presunto smarrimento in un centro commerciale all’età di 5 anni.
Ebbene il 25% di loro, oltre a convincersi di aver vissuto quella specifica circostanza, la arricchì con dettagli verosimili.
Ebbene il 25% di loro, oltre a convincersi di aver vissuto quella specifica circostanza, la arricchì con dettagli verosimili.
Questo studio dimostra come non solo sia possibile apportare delle piccole modifiche ad un ricordo già esistente ma addirittura inventarne uno nuovo.
Sussistono comunque delle differenze tra le memorie vere e quelle false, reperibili nella narrazione degli eventi: le descrizioni delle memorie reali risultano più nitide e vivide rispetto a quelle false.
L’informazione ingannevole ha maggiori probabilità di essere creduta se proviene da una persona investita di autorità.
Talvolta anche l’immaginazione può produrre lo stesso esito: prospettarsi frequentemente un evento può indurre a pensare che si sia effettivamente verificato, poiché la ripetizione della fantasia genera familiarità con l’evento stesso e la mente tende a giustificare tale conoscenza collocandolo nell’area dei ricordi.
Ulteriori ricerche hanno approfondito la creazione delle cosiddette “memorie impossibili”, ovvero quei ricordi risalenti al primo anno di vita. In questo periodo l’ippocampo, deputato alla formazione della memoria, non è sufficientemente sviluppato per immagazzinare ricordi da rievocare poi in età adulta.
Nonostante ciò, l’università di Carleton formò due gruppi da guidare in una regressione nel tempo, aiutandoli a recuperare esperienze immediatamente successive alla nascita mai avvenute.
Il primo gruppo fu sottoposto ad ipnosi mentre il secondo partecipò ad una “ristrutturazione mnemonica guidata”, una tecnica basata sull’incoraggiamento alla ricreazione di trascorsi infantili pregressi.
In entrambi i gruppi circa metà dei partecipanti giunse a ritenere attendibile l’episodio inventato, dimostrando che è possibile ispirare un ricordo complesso anche mediante una metodologia semplice.
Il primo gruppo fu sottoposto ad ipnosi mentre il secondo partecipò ad una “ristrutturazione mnemonica guidata”, una tecnica basata sull’incoraggiamento alla ricreazione di trascorsi infantili pregressi.
In entrambi i gruppi circa metà dei partecipanti giunse a ritenere attendibile l’episodio inventato, dimostrando che è possibile ispirare un ricordo complesso anche mediante una metodologia semplice.
Ci sono alcune condizioni che possono favorire la costituzione di un falso ricordo: innanzitutto è più facile che esso venga registrato nel cervello se è trascorso molto tempo dall’episodio in questione, poiché la memoria è confusa e di conseguenza maggiormente incline ad accettare suggerimenti.
Inoltre ai fini dell’accettazione è importante che il ricordo sia plausibile, andandosi ad inserire in quei vuoti di memoria e rispondendo così all’esigenza umana di collegare i nostri vissuti all’interno di un unico racconto coeso.
A giocare un ruolo determinante è l’interesse dell’individuo, laddove una forte motivazione può agevolare la quantità di elementi ricordati a discapito della qualità (la realtà oggettiva). Infine, più la persona è giovane più la si potrà influenzare costruendo memorie artefatte.
Tenendo in considerazione questi fattori si può comprendere quanto sia importante valutare correttamente l’affidabilità di un ricordo in alcuni contesti come quello giudiziario o quello terapeutico, dato l’impatto che possono esercitare nell’attribuzione di responsabilità.
Per la stessa ragione diventano ancora più significative situazioni quali gli interrogatori o le psicoterapie, che se non adeguatamente condotte possono presentare stimoli suggestivi in grado di innescare falsi ricordi, anche in riferimento a traumi gravi. Non di rado ci sono stati casi in cui figli accusavano i genitori di violenze infantili, con inevitabili ripercussioni legali, per poi scoprire che tutto ciò era frutto di condizionamenti involontari da parte del terapeuta.
Proprio per tutelare queste persone dalle illazioni è nata in America la False Memory Syndrome Foundation, un’associazione che ha lo scopo di difendere chi viene accusato ingiustamente a causa dei falsi ricordi e che cerca di attuare una riconciliazione tra le parti coinvolte.
Bibliografia
Joseph Sandler, Peter Fonagy (2002). “Il recupero dei ricordi di abuso. Ricordi veri o falsi?”. Milano: Franco Angeli editore.
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