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    Panic Attack e Disturbo da Attacchi di Panico (DAP)

    Secondo il DSM-IV-TR (2000), gli attacchi di panico sono episodi circoscritti di insorgenza improvvisa, caratterizzati da un’intensa apprensione, paura o terrore, spesso accompagnati dalla sensazione di pericolo imminente (ad esempio, paura di morire, di perdere il controllo o di “impazzire”). Durante questi episodi possono manifestarsi sintomi quali respiro corto o sensazione di soffocamento, palpitazioni o tachicardia, sudorazione, tremori, difficoltà a respirare, vertigini o sensazione di svenimento.

    In base alle circostanze che li scatenano, gli attacchi di panico si distinguono in:

    • Inaspettati (isolati): non associati ad alcun fattore scatenante specifico.
    • Provocati dalla situazione: si verificano quasi invariabilmente subito dopo l’esposizione (o in previsione) a uno stimolo o a una situazione temuta.
    • Sensibili alla situazione: si manifestano con maggiore probabilità in presenza di uno stimolo specifico, senza tuttavia essere sempre correlati ad esso.

    Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP)

    Il DAP è diagnosticato quando si presentano attacchi di panico inaspettati e ricorrenti, seguiti, per almeno un mese, da uno o più dei seguenti sintomi:

    1. Preoccupazione persistente di avere altri attacchi.
    2. Preoccupazione riguardo alle possibili implicazioni dell’attacco o alle sue conseguenze (ad esempio, temere di perdere il controllo, sviluppare malattie cardiache o “impazzire”).
    3. Alterazione significativa del comportamento collegata agli attacchi (evitare luoghi o situazioni per paura che si ripresentino).

    Per confermare la diagnosi di DAP, gli attacchi di panico non devono inoltre essere attribuibili ad altri disturbi mentali, né agli effetti di sostanze o di condizioni mediche generali.

    A seconda che sia associata o meno la paura di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali potrebbe essere difficile allontanarsi o ricevere aiuto in caso di attacco, il DAP può presentarsi con o senza agorafobia. Nei casi con agorafobia, la persona tende a evitare tali luoghi, a sopportarli con notevole disagio o a richiedere la presenza rassicurante di qualcuno.

    Dal primo attacco di panico al disturbo

    Spesso, prima del primo attacco di panico, la persona sta vivendo un periodo di forte stress (problemi familiari, lavorativi, cambiamenti significativi nella quotidianità, relazioni complesse, ecc.), ma può sottovalutare il suo impatto emotivo o credere di esserne immune. L’insorgenza del primo episodio di panico, oltre a essere traumatica per via del vissuto di ansia acuta, fornisce al contempo una “nuova” esperienza: quella di provare i sintomi fisici e le sensazioni di urgenza che caratterizzano l’attacco di panico. Questo comporta un aumento dell’attenzione ai segnali corporei (ipervigilanza o attenzione selettiva), che può favorire l’attivazione di risposte ansiose, a loro volta accompagnate da tensione prolungata, iperventilazione e amplificazione delle sensazioni somatiche.

    Tra il secondo e i successivi attacchi si innesca un circolo vizioso:

    • Ricerca dei sintomi e timore dell’ansia
    • Ansia anticipatoria
    • Sensazioni di panico imminente (tensione, iperventilazione, percezione amplificata di segnali corporei) →
    • Interpretazione catastrofica di questi segnali (distorsioni cognitive come selezione attentiva e catastrofizzazione) →
    • Attacco di panico vero e proprio.

    Questo circolo vizioso, rinforzato da ulteriori fattori di mantenimento (come evitamenti, comportamenti protettivi, pensieri disfunzionali), contribuisce alla cronicizzazione del disturbo.

    Epidemiologia

    Stando a quanto riportato dal DSM-IV-TR (2000), il Disturbo di Panico ha un’età di esordio tipicamente compresa tra la tarda adolescenza e i 35 anni, con due picchi di incidenza: uno nella tarda adolescenza e l’altro intorno ai 35 anni. L’insorgenza in età infantile è piuttosto rara, così come dopo i 45 anni (sebbene non impossibile). La prevalenza durante l’intera vita varia dall’1,5% al 3,5%, mentre quella annuale si aggira tra l’1% e il 2%. Inoltre, il DAP risulta 2-3 volte più frequente nelle donne che negli uomini.

    Negli ultimi anni, però, si è osservato un aumento degli episodi di panico anche tra gli uomini, specialmente manager e professionisti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i disturbi d’ansia, tra cui il DAP, saranno tra le patologie più diffuse a livello mondiale, secondi soltanto ai disturbi cardiovascolari. Tale incremento può dipendere, almeno in parte, da fattori socioculturali che influiscono sulle persone predisposte, come già discusso trattando l’ansia in generale.

    Trattamento

    Come per gli altri disturbi d’ansia, l’intervento terapeutico nel DAP prevede innanzitutto:

    • Ricostruzione del problema: analisi delle circostanze e delle dinamiche personali che hanno favorito lo sviluppo del disturbo.
    • Psicoeducazione: spiegazione di che cosa sono gli attacchi di panico, dei meccanismi alla base e delle loro conseguenze sul piano fisiologico, cognitivo ed emotivo.

    Successivamente, la terapia interviene su più livelli:

    1. Fisiologico:

    • Insegnamento di tecniche di rilassamento e di respirazione controllata (come la respirazione lenta e diaframmatica), per ridurre l’attivazione ansiosa e l’iperventilazione alla base del circolo vizioso.

    2. Comportamentale:

    • Esposizione graduale e sistematica alle situazioni temute, sia interne (sensazioni corporee) sia esterne (luoghi e contesti evitati).
    • Riduzione e progressiva eliminazione dei comportamenti protettivi o di sicurezza, ridimensionando così l’attenzione selettiva su sintomi e contesti percepiti come pericolosi.

    3. Cognitivo:

    • Ristrutturazione delle convinzioni disfunzionali e delle distorsioni cognitive che contribuiscono a interpretare in modo catastrofico i segnali corporei e i pensieri ansiogeni.

    La respirazione lenta diaframmatica è uno strumento tanto semplice quanto efficace, poiché riduce gradualmente l’iperventilazione e, di conseguenza, la tensione fisica, aiutando il paziente a sperimentare una sensazione di maggiore controllo durante le fasi di ansia acuta o di panico imminente.

    In conclusione, un intervento mirato sul Disturbo da Attacchi di Panico richiede un approccio integrato, che permetta di lavorare sull’aspetto fisiologico, comportamentale e cognitivo, guidando il paziente a riconoscere e modificare i meccanismi che innescano e mantengono il panico. L’obiettivo è favorire il recupero di una buona qualità di vita, riducendo la frequenza e l’intensità degli episodi di panico e migliorando la capacità di gestirli quando si presentano.


    Articolo scritto dalla Dott.ssa Nazaria Palmerone, Psicologa clinica, aree di trattamento: Adulti, bambini, adolescenti e coppie. Interventi specialistici su disturbi emotivi e su disturbi dell’alimentazione.

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